In Italia forse c’è un’emergenza formazione, oltre ad un’emergenza economica, e mi chiedo se le due emergenze non siano in qualche modo legate tra loro.
I dati sulla formazione in Italia ci restituiscono l’immagine di un paese che non scommette su di sé e quanto invece si auspica l’Unione Europea, e cioè un continuo incremento delle conoscenze e delle competenze volto a costituire un mercato del lavoro sempre più specializzato.
Nel 2020 ben il 31,5% della popolazione lavorativa europea sarà altamente specializzato, il 50% sarà mediamente specializzato e il 18,5% avrà un basso livello di qualificazione professionale. In Italia, invece, ben il 37% continuerà ad avere un basso livello di qualificazione, e solo il 19% avrà un’altra qualificazione (contro il 31,5% europeo).
I dati di adesione delle imprese italiane ai fondi interprofessionali indicano che in Italia si può fare molto di più: solo il 53% delle aziende ha aderito ad un fondo interprofessionale, contro una media europea che sfiora il 70%. In Europa quasi il 75% della popolazione lavorativa fa formazione, contro il 51% dell’Italia.
Ma il dato che più ci deve far riflettere è la difficoltà che hanno alcuni fondi a ridistribuire le risorse a disposizione. E pensare che in Italia solo lo 0,30% del versamento INPS viene riversato nei fondi interprofessionali, contro il 3,5%, ad esempio, della Francia (quasi 12 volte tanto!).
In pratica molti si lamentano che non ci sono i soldi, figuriamoci quelli per fare formazione, ma quando ci sono non ce li prendiamo e non li spendiamo!
E ci sono altri dati che ci devono far riflettere: quasi il 58% delle risorse dei fondi interprofessionali è speso in formazione obbligatoria (sicurezza, etc…), e la maggior parte delle risorse è spesa in piani aziendali e solo una minima parte in piani territoriali.
Questi dati evidenziano una certa riluttanza nello svolgere formazione e, peggio ancora, una certa resistenza a cooperare con altre realtà territoriali.
Penso alla cooperazione che si è sviluppata in Spagna per promuovere il Cammino di Santiago e che ad oggi accoglie oltre 270.000 pellegrini all’anno. Da quasi 7 anni facciamo formazione IN CAMMINO sulle vie francigene e non ci risponde nessuno, neanche la pro-loco di cittadine affamate di turismo e di visibilità. Tocchiamo con mano, e con i piedi, il fatto che spesso manca la cultura del territorio e della cooperazione.
Mi viene in mente una storiella raccontata da Stephen Covey.
Un uomo sta camminando nel bosco quando incontra un boscaiolo intento a tagliare un albero. Il boscaiolo è affaticato: lavora da 5 ore ed ha molta fretta di finire il lavoro. L’uomo nota che la lama non taglia bene e lo fa notare al boscaiolo, suggerendogli di fermarsi ad affilare la lama della sua ascia. Il boscaiolo stizzito risponde: «Non si rende conto che ho fretta? Non ho tempo di fermarmi per affilare la lama, devo abbattere questo albero al più presto».
E noi, come azienda che si occupa di formazione, abbiamo notato spesso questo atteggiamento, anche in chi conosce questa storia e dice di dar valore alla formazione.
Ma il dato ancora più allarmante è quello relativo alla dirigenza. I dati sembrano restituirci una classe dirigente che ha difficoltà a formarsi. Non a caso i fondi che hanno più difficoltà a distribuire tutte le risorse assegnate sono proprio quelli che si occupano di formazione per i dirigenti. In Italia i primi “boscaioli” che raccontano la storia di aver fretta e di non poter affilare l’ascia sono proprio i “capi boscaioli”, i dirigenti. E non solo. A noi è capitato anche di piani non portati avanti per quel dirigente non voleva formarsi insieme all’altro dirigente. Oltre al diffuso atteggiamento del tipo “ho già fatto tanta formazione”!
Abbiamo incontrato aziende che si dimenticano di usare i fondi a loro riservati, o altre che hanno nel budget previsionale i regali di natale ma non la formazione. Altre non sanno cosa sia una Corporate University o un’Academy Aziendale e la differenza tra le due. Altre ancora le hanno ma non fanno un aggiornamento dei contenuti, dei docenti o delle modalità di erogazione. Altri non valutano neanche la qualità della formazione: basta farla per poter dire di averla fatta!
Per questo sono e siamo convinti che la formazione possa rappresentare un valore di ripresa importante per l’Italia.
Fare formazione non vuol dire credere solo nel suo valore, ma vuol dire credere soprattutto nel proprio valore, personale e professionale. Fare formazione vuol dire:
– credere nel proprio potenziale e nel poterlo sviluppare;
– aprirsi alle novità e ai cambiamenti degli scenari futuri;
– puntare di più sulle proprie abilità che sugli sviluppi esterni che non possiamo controllare (esempio sperare nella ripresa).
Ad ogni modo quella che qui definisco come un’EMERGENZA FORMAZIONE, in realtà rappresenta una grande OPPORTUNITÀ. Chi si forma, individuo e/o impresa, potrà vantare un vantaggio competitivo di alto valore.
Buona opportunità e buona formazione!
Piercarlo