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Errori di comunicazione nell'emergenza di Rigopiano

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Piercarlo Romeo
giovedì, 02 Febbraio 2017 / Pubblicato il Blog

Gli errori di comunicazione nell’emergenza di Rigopiano

Breve analisi di alcuni degli errori di comunicazione commessi nell’emergenza di Rigopiano.

Ho preso veramente a cuore il dramma di Rigopiano. Mi sento emotivamente vicino ai familiari delle vittime e sono molto grato ai soccorritori. Per giorni ho seguito la vicenda come non mi capitava da anni, astenendomi da polemiche e da facili giudizi, ma da esperto in comunicazione operativa, non ho potuto fare a meno di cogliere gli aspetti legati ai processi di comunicazione, rilevando alcuni errori.

Non mi permetto di valutare le responsabilità di quanto accaduto, ma posso fare un’analisi di alcuni aspetti della comunicazione, che durante un’emergenza è come l’aria e richiede alti livelli di precisione e attenzione.

Vi chiedo di ascoltare l’audio di una delle chiamate fatte al 118 da uno dei due sopravvissuti che ha dato per primo l’allarme, per poi fare delle valutazioni insieme.

Come potete ascoltare, il sopravvissuto chiama il 118 di Chieti che poi inoltra la chiamata alla centrale di Pescara.
Già in questi primi secondi di chiamata ci sono tantissimi errori che nella comunicazione in emergenza si devono evitare. Per prima cosa l’operatrice interrompe il chiamante per un motivo di competenza territoriale, mentre il protocollo dovrebbe prevedere prima una valutazione del grado di gravità della situazione (in una scala ben definita e condivisa tra le unità di soccorso), in modo da evitare “inoltri di chiamata” che possano occupare inutilmente altre centrali o, peggio ancora, far perdere secondi preziosi. Senza tener conto del rischio di una mancata risposta. Le regola è che il primo che viene a contatto con l’emergenza deve prima valutarne il grado, per poi eventualmente fare altre valutazioni o un inoltro per competenza o territorio. Interrompere una prima comunicazione d’emergenza non è mai funzionale: fa sentire l’altro non ascoltato, non capito, e non permette di fare un’analisi del contesto.
Anzi, proprio questa è la prima regola dell’ASCOLTO in ambito emergenza: dar parola e far attenzione al contesto, oltre che al contenuto.

Un operatore delle comunicazioni d’emergenza, in pochi secondi deve:
– ascoltare i rumori di sottofondo, se ce ne sono, per capire il contesto esterno. Ci sono urla, clacson, rumori esterni?
– far parlare per capire lo stato emotivo di chiama, il livello di allarme e di eventuale pericolo che l’altro percepisce;
– capire il livello di gravità dell’emergenza in questione.

Alti livelli di emergenza non possono prevedere l’inoltro di chiamata. Questo vuole dire interrompere il racconto altrui (aumentando il rischio in molti casi), e soprattutto, costringe il chiamante a ricominciare da capo per rispiegare la situazione e per riottenere credibilità presso un nuovo operatore. E nell’emergenza i secondi sono eternità. Per questo la mia domanda è se ci sono validi protocolli di ricezione di chiamata e schede di intervista e acquisizione dati che aiutino gli operatori nello svolgere il loro lavoro di ascolto, filtro, supporto, smistamento e attivazione.

Dopodiché, dal secondo 8 al secondo 10 della chiamata, l’operatrice dice “CALMO, CALMO… TRANQUILLO”, anche alzando il tono di voce. A parte la scelta di sovrastare vocalmente l’interlocutore, che in questo caso secondo me era da evitare, chi si occupa di comunicazione d’emergenza e in crisi, sa che bisogna evitare gli imperativi durante l’acquisizione delle informazioni, e che indicazioni esortative come “stia calmo” e “stia tranquillo” per effetto paradossale sortiscono gli effetti contrari. Una persona si calma di più se le diciamo “mi dica” e se le facciamo capire che la stiamo ascoltando, che non chiedendole, magari alzando la voce e usando gli imperativi, di star calma!

Nella chiamata inoltrata al 118 di Pescara, risulta evidente che il chiamante deve ripetere la storia. L’operatrice, anche in questo caso, alza la voce a fronte della scarsa ricezione. Chi fa formazione sulla gestione delle chiamate d’emergenza dovrebbe sapere che la scarsa ricezione non si risolve con l’alzare il volume della voce, ma si risolve con il rallentare l’eloquio, nell’aumentare le pause per verificare la ricezione ed eventualmente nel ripetere il contenuto (sempre lentamente). C’è poi un passaggio cruciale: chi chiama dice “L’hotel non c’è più, non c’è più. Ci sono dei dispersi”. L’operatore d’emergenza, con un buon protocollo d’analisi del contenuto, avrebbe dovuto chiedere specificità su quanto detto. Invece ripete “Ci sono dei dispersi”, e successivamente dice “Cioè è crollato l’hotel”, frase che non è stata proprio detta dal chiamante, e che non ne ripercorre le scelte linguistiche. Modo di agire che secondo me può e deve essere migliorato.
La comunicazione d’emergenza deve fornire strumenti agli operatori per poter gestire la chiamata con chiunque, con chi è preso dal panico, con persone che piangono, con bambini disorientati, con chi non ha competenze linguistiche. E deve fornire strumenti e protocolli di domanda che permettano di capire la situazione, capire lo stato emotivo dell’altro, fare una valutazione delle criticità.
Dovrebbero esserci anche protocolli di comunicazione interna visiva e gestuale che permettano di coinvolgere i propri superiori, senza interrompere la continuità comunicativa con il chiamante.
Mi chiedo se in Italia tutto questo si fa. C’è questo know how?
Spesso cadiamo nell’errore che COMUNICARE sia naturale, che non richieda una formazione specifica e una formazione adeguata. Invece, i fatti, dimostrano il contrario. Un’AZIONE importante come la comunicAZIONE non può essere lasciata al caso o alle abitudini individuali, ma deve essere oggetto di studio, ricerca, scelte ponderate, collaudi, formazione e dovuti aggiornamenti continui.
La capacità di ascolto, di intervista e di verifica della comprensione sono fondamentali, soprattutto nella valutazione e nella gestione delle emergenze.
Anche imparare ad usare stratagemmi di gestione dello stress, come non alzare la voce, farsi dire il nome della persona e usarlo quando si vuole attenzione o cercare di calmare l’altro, etc… diventa fondamentale in casi come questo.
Per questo, il mio invito, è a non sottovalutare MAI il potere della COMUNICAZIONE, soprattutto nelle criticità e nelle emergenze.

Piercarlo 

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Taggato in: comunicazione, crisi management, criticità, emergenza, stress management

1 commento to “ Gli errori di comunicazione nell’emergenza di Rigopiano”

  1. "Calmati!" - Ecco uno dei peggiori modi per tranquillizzare qualcuno | Metadidattica.com dice:Rispondi
    il 25 Luglio 2021 alle 17:46

    […] vuoi approfondire gli effetti catastrofici dell’espressione “Si calmi”, clicca qui e leggi l’analisi che il mio collega Piercarlo Romeo ha effettuato sugli errori di […]

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