Non bisogna temere, ma conoscere
Navigando sul web, non mancano gli attacchi al modello di Coaching Strategico.
Addirittura c’è chi scrive “Il coaching non è basato su modelli strategici…”
Chi fa attacchi di questo tipo spesso sostiene che siccome il modello strategico deriva dalla terapia breve strategica, non può essere definito coaching.
Sarebbe come dire che, siccome le leghe di metallo con cui vengono costruiti i migliori coltelli al mondo derivano dalle leghe ideate dall’industria aeronautica, non sono coltelli veri. Anche perché altrimenti potrebbero correre il rischio di volare!
Sono molte le tecnologie che vengono applicate con successo pur provenendo da altri campi e settori.
Il Coaching stesso, dopotutto, è nato nel mondo dello sport per poi essere “travasato” nel business, e con successo.
Senza dire che spesso queste scuole si vantano di trasmettere il coaching puro dei “padri fondatori” (Withmore e Gallwey) per poi però ricollegarsi anche alla tradizione maieutica socratica e a contenuti propri della psicologia, quali l’intelligenza emotiva (divulgata da Goleman) e la psicologia positiva (di Seligman).
Quindi, se ho capito bene, il modello strategico non è coaching perché deriva dalla psicologia strategica, mentre il “coaching puro” si può avvalere dei modelli di altri psicologi. Giusto?
Personalmente trovo il ragionamento poco corretto e più che “coaching puro”, mi sembra una “pura” operazione marketing.
E nella mia posizione non ho una fede da difendere, perché anche io provengo da modelli diversi di coaching, essendo passato per vari approcci: dalla pnl agli approcci motivazionali, da quelli olistici (ahimè) a quelli umanistici, fino a quelli costruttivisti puramente orientati alla performance.
Ma nel mio essere approdato al modello strategico non sento il bisogno di denigrare altri modelli, se non, ogni tanto, comunicare FATTI reali che pochi sanno. Ad esempio, pochi sanno che la PNL ha più le caratteristiche di una pseudo-scienza che di una scienza vera e propria (leggi la rivista Query n.° 3 del CICAP ed in particolare questo articolo di Robert T. Carroll) e che ha collezionato più ricerche scientifiche che ne invalidano gli strumenti che divulga che non ricerche a suo supporto. Ma questo non è denigrare, secondo me: è informarsi e divulgare informazioni corrette e verificabili.
Quindi mi chiedo perché alcuni attaccano il modello strategico a titolo gratuito, senza conoscerlo nel suo funzionamento e, soprattutto, nella sua efficacia? Un modello che oltre ad avere migliaia di casi a supporto della sua validità, ha solide ricerche scientifiche evidence based e autorevoli bibliografie.
Molti sostengono che attacchiamo ciò che conosciamo o ciò che ci spaventa. O entrambi.
A me piace pensare che a volte ripetiamo ciò che abbiamo sentito dire da qualcun altro, e quindi che attacchiamo per ignoranza, nel senso del termine come “assenza di conoscenza”.
C’è una parte di me che pensa che il modello di coaching strategico faccia paura.
Fa paura per una serie di motivi:
1 – è un vero e proprio modello, ben strutturato e organizzato nei suoi protocolli e che quindi richiede un certo rigore logico e metodologico;
2 – richiede anche creatività, che può sembrare contrapposta alla rigorosità del punto 1, e che invece lo rende una miscela di efficacia, efficienza ed eleganza;
3 – è efficace. Non sempre, altrimenti non sarebbe coaching, dove per certo non si può avere il 100% di successo. Ma è molto efficace. E sicuramente lo è più di altri modelli, specie quelli inventati o che provengono da altre culture. E quello della provenienza culturale dei modelli sarebbe un altro punto da argomentare, in quanto diamo per scontato che qualsiasi cosa funzioni in altre culture possa o debba funzionare anche da noi. Spesso dimentichiamo che siamo latini, dimentichiamo le influenze del linguaggio sui modi di pensare e le influenze culturali sui modi di comunicare e comportarsi. E ignorando questi aspetti facciamo il copia/incolla di modelli extra-culturali, come quelli anglosassoni, senza un minimo di ricontestualizzazione.
Ora sembrerò presuntuoso, ma è un rischio che accetto di correre: sono tanti i coach che approdano ad un corso della nostra scuola e che restano a bocca aperta durante le nostre sessioni di coaching. E restano basiti perché le sessioni sono tutte su casi reali (niente simulazioni), non sono raccontate ma viste in diretta e sono diverse, efficaci, rapide ed eleganti.
Nel modello strategico, ad esempio, non ci sono “domande banali” che portano molti coach ad essere presi in giro. Le domande seguono un certo percorso logico che unisce rigore e flessibilitò, metodo e creatività.
“Nella vita non c’è nulla da temere, solo da capire.”
Marie Curie
Certo, mi rendo conto che non è facile rimettersi a studiare, ammettere la propria inefficacia, superare la paura di sembrare incompetenti e studiare qualcosa, anziché attaccarla.
Noi lo abbiamo fatto e non è stato facile. Eravamo già coach, insegnavamo già da anni ma ci siamo rimessi in gioco, con umiltà e determinazione.
E mi auguro, qualora dovessimo trovare qualcosa di più efficace, efficiente ed elegante, di avere ancora lo stesso coraggio, la stessa umiltà e la stessa di grinta per rimetterci a studiare e a praticare.
Dopotutto questo è il coaching: migliorare sempre e continuamente e non dirsi di essere i migliori o dire in giro che gli altri sono peggiori…
Buon coaching… strategico e non!
Piercarlo