I professionisti di valore non squalificano gli altri (professionisti e non)
Ne ho già parlato in una diretta youtube: uno dei più grandi errori di molti coach e scuola di coaching è l’utilizzo dei termini “fuffa coach” e “fuffa coaching”.
Provate a fare ricerca sui termini “fuffa coach” e “fuffa coaching”: troverete centinaia di risultati e di articoli, in cui Coach e Scuole Coaching usano questi due termini.
Io personalmente non ho mai utilizzato e mai utilizzerò questa terminologia.
E ho anche deciso di star molto lontano, sia intellettualmente e sia relazionalmente, da chi usa tale terminologia, e in questo articolo vi spiego le (mie) motivazioni.
Parto da una premessa per me doverosa: non credo nell’utopistico “io non giudico” e/o “il coaching non giudica mai“.
Non amo giudicare, anzi, ma credo che sia doverosa onestà intellettuale ammettere e accettare che non possiamo sottrarci alla nostra naturale tendenza a valutare l’altro e gli altri.
Quindi, come Coach professionista e come fondatore e direttore di una Scuola di Coaching non posso non valutare gli altri coach e le altre scuole. Anzi, valuto e come. E mi confronto. E mi paragono.
Ma valutare è diverso da giudicare.
E soprattutto valutare è diverso da squalificare, peggio ancora se la squalifica è fatta in modo pubblico, nero su bianco, inserita in articoli, interviste o video.
E non si tratta di coraggio, come molti sostengono: si tratta di professionalità, buona educazione ed eleganza, comunicativa e comportamentale.
Ma perché non uso e non userò mai i termini “fuffa coach” e “fuffa coaching” (tranne che per denunciarne il loro uso) e preferisco star lontano da chi li usa?
1 -Definire gli altri “fuffa-coach” è arroganza
Un Coach che si sente migliore degli altri, fino a squalificarli platealmente con un’etichetta forte e pesante, secondo me pecca di grave (e in alcuni casi cronica) arroganza. Nietsche, nel suo “Umano troppo umano” (1878) ammoniva “Da niente bisogna guardarsi tanto come dal crescere di quella malerba che si chiama arroganza e che rovina in noi ogni buon raccolto“. E in questo caso, è forse la peggior arroganza: quella che viene definita “arroganza antagonista”.
Ma voi avete mai sentito un avvocato definire un altro avvocato come “fuffa-avvocato”? Sì, sicuramente possiamo pensare di essere più abili di un collega, possiamo pensare di esserci formati in modo migliore o possiamo pensare che l’altro non sia così capace. È lecito, pensarlo. Ma pensare che qualcuno sia meno abile di noi è cosa ben diversa dallo squalificarlo in modo pesante e farlo pubblicamente fino a diffondere una vera e propria etichetta. Eppure ci sono molti siti di molti Coach che parlano di “fuffa-coach”. E cosa ben peggiore, se non gravissima, è che esistono siti di Scuole Coaching che parlano di “fuffa-coaching” e “fuffa-coach”. Ma voi vi immaginate una facoltà di medicina che definisce altre facoltà come “fuffa-medicina”? Oppure andate sul sito di una facoltà di filosofia che definisce altre facoltà come “fuffa-filosofia”. Impensabile. Il Coaching, per migliorarsi e posizionarsi sempre meglio, non ha bisogno di arroganza: ha bisogno, invece, di professionalità ed eleganza. Personalmente comprendo benissimo gli attacchi da parte di altre professioni, anche se li trovo poco eleganti. Ma mi risultano incomprensibili e ben più gravi i coach e le scuole coaching che usano tali termini, attaccando il “proprio terreno di gioco”. Peggio ancora se esperti in comunicazione o linguistica.
2 – Etichettare è contrario ai valori del Coaching
Il Coaching, come consulenza di processo che supporta individui ed organizazzioni nello sblocco e nello sviluppo delle proprie prestazioni, si confronta molto spesso con le etichette che i coachee danno a loro stessi o che “subiscono” dall’ambiente in cui operano. Quindi il Coaching conosce il “peso” delle “etichette” e spesso supporta i clienti a liberarsi da tali etichette. Secondo me, “etichettare gli altri” è contrario ai valori del Coaching. Non solo è poco professionale e poco elegante, laddove professionalità ed eleganza sono una scelta personale ed individuale. Etichettare è proprio contrario alla disciplina stessa del Coaching, che invece crede nel potenziale delle persone e che punta a farlo sviluppare. Per questo un Coach professionale, secondo me/noi, non etichetta e non attacca nessun altro professionista e nessun’altra professionalità/disciplina.
3 – Ci sono altri modi per fare marketing
Molti lo definiscono il “marketing della squalifica” che solitamente usa due strategie:
a. fare sentire gli altri incapaci e mancanti di qualcosa fino a generare in loro il bisogno di colmare tali incapacità e mancanze attraverso alcuni servizi/beni. Come direbbero molti, si usa la “leva dolore” per essere convincenti (per non dire manipolatori) e vendere i propri servizi. Ma attenzione: l’uso delle squalifiche in questo modo è manipolatorio e poco etico.
b. squalificare gli altri, ad esempio usando i termini “fuffa-coach” e “fuffa-coaching” per elevarsi e inviare il meta-messaggio “noi non siamo fuffa”.
Secondo me è possibile proporsi in modo diverso, professionale, elegante, senza dover “affossare gli altri per far emergere la propria immagine” (e volutamente parlo di immagine e non di valore).
4 – Un buon coach si occupa delle proprie abilità e non delle altrui incapacità
Ammesso che noi siamo più abili e più bravi, i valori del Coaching ci invitano a migliorare ulteriormente le nostre performance, anziché occuparci delle altrui incapacità o basse performance.
“Lascio agli altri la convinzione di essere i migliori, per me tengo la certezza che nella vita si può sempre migliorare.”
Marilyn Monroe
Come già detto indirettamente al punto 1, bisogna stare attenti a non nutrire il proprio Ego a colpi di arroganza.
Ecco il mio punto di vista: usare i termini “fuffa-coach” e “fuffa-coaching” fa male al coaching stesso.
E ad un occhio più attento, l’uso di questi termini squalifica l’utilizzatore stesso.
Per questo invito tutti i professionisti del coaching ad usare terminologie diverse, più edificanti… della nostra professione, il coaching, e della nostra professionalità.
Piercarlo
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