Tutto ciò che è avverso potrebbe esserci d’aiuto…
Il Coaching nasce nel mondo sportivo. E secondo me lo sport, con i suoi valori e i suoi ideali ha moltissimo da insegnare, anche al mondo del business e della crescita personale.
Una di queste grandi lezioni è il confronto continuo con le avversità e con gli avversari.
Mi viene in mente una frase di Pierre De Coubertin, il fondatore dei moderni giochi olimpici:
“Lo sport va a cercare la paura per dominarla, la fatica per trionfarne, la difficoltà per vincerla.“
Il concetto di avversione e di avversità, condizione naturale nel mondo dello sport, diventa luogo di crescita personale e di sviluppo delle proprie performance. Laddove molti cercano la facilità, chi vuole eccellere cerca nuove sfide e nuove “avversità” per migliorare e migliorarsi.
Ricordiamo l’etimologia delle parole avversità e avversario: indicano qualcosa che va nella direzione contraria rispetto alla nostra (ad-versus). Anche un fiume è avverso nel momento in cui cerchiamo di risalirlo: nulla di personale e nessuna ostilità nei nostri confronti, ma semplicemente le due direzioni sono opposte, si scontrano e si confrontano, generando una naturale avversione.
Avversione che per chi ha una mente performante e un orientamento al miglioramento continuo diventa occasione di crescita e di sviluppo personale.
E questo concetto non l’ho ideato io, né i padri del coaching moderno, né i guru motivazionali.
Ricordiamoci di Annibale, uno capace di attraversare le Alpi con degli elefanti e che già 2.200 anni fa disse: “Ogni ostacolo diventa strumento per la via“.
E attenzione a non ricordare un antico detto del buddismo tibetano: “L’avversario è il tuo miglior maestro“.
E poi Seneca, uno dei massimi esponenti dello stoicismo, che lanciava il suo monito: “Il valore senza avversario ristagna“.
E nel mondo moderno si possono trovare molti modi “sani” per confrontarsi con le avversità e sviluppare così nuove abilità. Ed è quello che facciamo continuamente, tutti i giorni, nel business coaching e nello sport coaching.
E sempre dall’antichità arriva un’altra bellissima lezione di cui ricordarci quando un nostro concorrente/avversario si comporta trasgredendo a valori etici importanti: Marco Aurelio, l’imperatore filosofo, altra grande espressione dello stoicismo insieme a Seneca ed Epitteto tuonava “Il modo migliore per difendersi da un nemico è non comportarsi come lui.“
Possiamo e dobbiamo quindi, puntare a trasformare le avversità in alleati e gli avversari in “allenatori”.
Cosa intendo dire con precisione?
L’avversità è situazionale, non ha nulla di personale ed è espressione di una condizione più o meno momentanea. Avversità può essere il vento contrario per un velista, il covid-19 per un imprenditore (ma per tutti) o le leggi tributarie per un investitore: nulla di personale contro di noi ma sta a noi e alla nostra abilità a trasformarle in preziosi “alleati”.
Ricordiamo l’etimologia dei termini “alleanza” e “alleati”: la loro base (alligare) è “legata” al concetto di legame. Il velista è legato ai venti e alle correnti, anche se avversi; così come l’imprenditore è legato ai mercati, anche se difficili. C’è un legame profondo tra avversità e prestazioni. E ancor più profondo il legame tra avversità e abilità.
Sempre Seneca (uno di quegli uomini con cui ogni coach vorrebbe trascorrere una serata a cena) disse: “Non possiamo dirigere il vento, ma possiamo orientare le vele”.
Diverso, invece, il concetto di avversario. L’avversario è uno come noi che si confronta con noi. Non è una situazione. La montagna è un’avversità per gli alpinisti. Per i più bravi diventa un’alleata. Avversari, invece, sono gli altri alpinisti che vogliono conquistarla prima e meglio di noi.
Per un velista il vento è un’avversità, mentre i velisti delle altre imbarcazioni sono gli avversari.
Per un triatleta pioggia e vento sono avversità, mentre gli altri atleti sono avversari.
Le leggi di mercato sono un’avversità, mentre i concorrenti sono avversari. Con alcuni ci si confronta direttamente (come ad esempio Mac Donald e Burger King) con altri indirettamente.
Come già detto, il buddismo tibetano suggerisce di considerare ogni avversario come un maestro, io, invece, aggiungo che preferisco dargli il ruolo di “allenatore”.
Ricollegandoci all’idea di Marco Aurelio di comportarsi diversamente dai propri nemici, possiamo imparare ed allenarci anche grazie ad avversari scorretti.
Anche per questo preferisco riservare l’idea di maestro e di maestria a pochi privilegiati, selezionati e che abbiamo scelto con cura.
Mentre tutto può essere allenante. Possiamo imparare da chiunque, anche da un avversario e anche da un avversario spietato o scorretto. Il termine “allenatore” deriva da “lena”, fatica: un allenatore è colui che ci fa faticare. Maestro, invece, deriva da “magister”/”magis” e ha che fare con la grandezza, la maestria e la capacità di eccellere e trasmettere eccellenza.
E per tornare al cuore di questo articolo, se è vero che pochi possono essere i maestri, chiunque può diventare occasione di allenamento. E questa è la nostra sfida.
Trasformare le avversità in alleati e gli avversari in allenatori…
So che non è facile, ma come ho già scritto e amo ripetere, l’eccellenza non cerca la facilità, ma le sfide e le avversità, semplicemente per sviluppare sé stessa.
Buone avversità e buona eccellenza!
Piercarlo