Abbiamo individuato tre motivazioni principali che spingono a studiare il Coaching
Come Coach professionisti e come Scuola di Coaching possiamo dire che abbiamo individuato tre principali categorie motivazionali che spingono alcune persone a studiare il Coaching.
1 – Diventare un Coach Professionista
La prima categoria è formata da chi vuole diventare un Coach professionista: rendere cioè il Coaching un’attività lavorativa o la propria principale occupazione. In questo primo caso è bene sapere che, secondo noi, non si acquisisce una professione in pochi mesi. Un Coach è un professionista dello sblocco e dello sviluppo della performance professionale o sportiva, e lo studio delle dinamiche e delle logiche di performance richiede tempo e pratica. Servono mesi per leggere e studiare i principali libri di riferimento; servono mesi per frequentare i corsi e far sedimentare quanto appreso; servono mesi per seguire i casi reali condotti dai docenti e dai coach della Scuola; così come servono mesi per seguire i propri casi, tra i quali ce ne sarà sicuramente qualcuno fallimentare (dal caso che abbandona dopo la prima sessione al caso che non ottiene i risultati desiderati).
Insomma, serve tempo, e non ci si può improvvisare Coach. Per questo motivo chi vuole rendere il Coaching la propria professione, deve mettere in conto almeno 12-18 mesi e scegliere una Scuola che sia realmente professionalizzante. E anche dopo l’attestazione di qualifica da Coach diventa importante formarsi e aggiornarsi continuamente, magari in un gruppo di colleghi che permetta lo scambio e la condivisione di esperienze. Chi appartiene a questa prima categoria, inoltre, deve sviluppare anche le competenze per proporsi, posizionarsi e “vendersi” come Coach professionisti seri e riconosciuti.
2 – Applicare il Coaching alla propria attività
Il secondo gruppo è costituito da professionisti e da persone che vogliono semplicemente sviluppare le competenze di coaching per applicarle alla propria attività e al proprio contesto di riferimento. Così possiamo avere imprenditori, responsabili hr, responsabili di unit, comandanti di forza armata e ruoli di coordinamento della pubblica amministrazione che vogliono conoscere il coaching nei suoi processi logici, nei suoi protocolli e nelle sue tecniche per poter supportare e sviluppare al meglio le proprie prestazioni lavorative e le performance dei propri collaboratori. Si potrebbe pensare che questo gruppo, non dovendo fare del Coaching una professione, potrebbe essere più facilitato nell’apprendimento in quanto è libero da attese lavorative. Secondo noi, invece, questo gruppo deve sviluppare un’abilità in più rispetto ai coach professionisti: la capacità di “fare coaching senza fare coaching”! In pratica devono applicare le logiche , le competenze e gli strumenti del Coaching alla propria attività senza che vi sia un accordo formale di coaching e il corrispettivo economico della prestazione professionale. Così, ad esempio, un responsabile HR deve imparare a fare coaching ai propri collaboratori senza essere ufficialmente il Coach, rimanendo nel proprio ruolo e nella corretta posizione relazionale. Sarebbe come diventare “allenatori” senza avere una palestra cui le persone possano iscriversi. Bisogna diventare così abili a far allenare le persone nel proprio ruolo. Anche a questo gruppo è richiesto studio, formazione e applicazione pratica, sia su casi reali esterni di coaching sia su casi “interni sotto copertura”, che permettono di fare pratica di coaching nel proprio ruolo. In questo caso la Scuola di Coaching che si sceglie deve poter trasferire le competenze per poter agire “volando sotto i radar”, e avere esperienze di valore in ambito organizzativo (aziendale e sportivo). Secondo noi è meglio evitare quei modelli e quelle scuole che propongono il Coach come un super-uomo e il Coaching come una panacea capace di risolvere qualsiasi problema o raggiungere qualsiasi obiettivo.
3 – Ottenere un attestato di qualifica
Il terzo gruppo è costituito dai “cacciatori di titoli ed attestati”. La loro attenzione non è sugli apprendimenti e sulle competenze da sviluppare: gli basta il semplice “attestato”. A loro basta poter dire “io sono coach”, ignorando che la maggior parte dei coach attestati in Italia non pratica il coaching. A tal proposito esistono varie “scuole” (che qualcuno chiama”attestifici”) a cui è possibile iscriversi. Siamo riusciti a trovare un corso di sole 40 ore interamente on-line per potersi poi “autoproclamare coach”. In questo caso il nostro suggerimento è di dotarsi anche di felpona o di polo con scritto COACH in caratteri cubitali, in modo che la foto profilo dei social possa fugare qualsiasi dubbio sulle capacità e sulle competenze di coaching.
Ovviamente esistono anche tante altri motivazioni: ci sono quelli semplicemente appassionati, ci sono ricercatori di contenuti che si formano continuamente, genitori che vogliono acquisire strumenti da applicare alla genitorialità, etc…
Ma in questo articolo abbiamo argomentare solo le tre principali motivazioni.
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Buon Coaching!
Piercarlo