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Piercarlo Romeo
lunedì, 10 Ottobre 2022 / Published in Blog

L’importanza di saper chiudere i casi di Coaching

chiusura-casi-coaching

 

Quali sono le possibilità di chiusura di un caso di Coaching

 
Nel mondo del Coaching quasi nessuno parla della chiusura dei casi.
Ma nello studio di questa disciplina, invece, è importante approfondire le varie e molteplici modalità di chiusura di un caso.
Quali sono le possibilità di chiusura?
E quali le modalità?
Sapendo che le modalità tecniche e le procedure di chiusura dei casi dipendono dall’approccio e dal modello di provenienza (argomento che non tratteremo in questo articolo) dobbiamo invece concordare sul fatto che esistono varie tipologie e varie possibilità di chiusura di un caso di Coaching.
Nel nostro modello di Coaching individuiamo cinque tipologie di chiusura: la chiusura concordata/condivisa, il drop out, l’invio, l’interruzione e la sospensione.
Laddove pochi parlano della chiusura dei casi di Coaching, quasi come se il servizio dovesse per forza essere sotteso da una relazione continua e continuativa, quasi nessuno parla delle altre tipologie. Ma esploriamole insieme una per una.
 

CHIUSURA CONCORDATA e CONDIVISA (per successo pieno o parziale)

Un Coach professionista ben formato e preparato dovrebbe saper condurre ogni singolo caso con maestria per portarlo alla sua naturale chiusura, che dovrebbe quindi avvenire grazie al conseguimento del successo pieno del coachee e quindi del caso stesso. In questa situazione, che rappresenta quindi lo scenario ideale e desiderabile, si parla di “chiusura naturale, concordata e condivisa” tra coach e coachee del caso. Il coach dovrebbe quindi avere trai suoi protocolli e le sue tecniche degli elementi specifici per chiudere il caso singolo, “sigillando” e “capitalizzando” quanto realizzato  insieme e consegnare così al cliente “chiavi in mano” (quindi in piena autonomia) i risultati conseguiti e la performance sviluppata durante il percorso.
Il concetto di chiusura è legato ad uno dei principi fondanti del Coaching: il rispetto della piena autonomia del Coachee e l’emancipazione di quest’ultimo dal Coach e dal percorso stesso di Coaching.
La domanda è quindi d’obbligo: nel tuo modello come chiudete i casi? Quali sono i protocolli di chiusura? E quali le tecniche più utili per questa fase finale?
Questa modalità di chiusura concordata e condivisa, può essere usata anche in caso di successo parziale, cercando di capitalizzare comunque il successo parziale.
In alcuni casi la si può usare anche in casi di insuccesso: il Coach e il Coachee concordano tra loro l’opportunità chiudere proprio a causa dell’inefficacia del percorso, senza dover per forza trovare colpe e cause. Anche in questi casi, il suggerimento è di capitalizzare quanto possibile nella sessione di chiusura; e come Coach di far tesoro degli apprendimenti che si possono sviluppare proprio grazie all’inefficacia dello specifico percorso, senza colpevolizzarsi ma responsabilizzandosi e trasformando il fallimento in occasione di crescita personale e professionale.
 

DROP-OUT

Le seconda modalità di chiusura, che è la più difficile da digerire (e da ammettere) per la maggior parte dei Coach, è il drop out, l’abbandono non annunciato da parte del cliente e non concordato.
Un Coach professionista, specie se onesto intellettualmente, deve ammettere che molti casi sono oggetto di drop out. Tanti. E sono pochi i Coach che lo ammettono e ancor meno quelli che non cadono nella trappola di giustificare sé stessi e attaccare/colpevolizzare il cliente, quasi come se fosse un “traditore” o una persona “poco seria”.
In questi casi il Coach deve lavorare in due direzioni ben distinte:
1 – dovrebbe dotarsi di strumenti, protocolli e abilità che possano ridurre il drop out (che non dovrebbe superare il 5-10% dei casi totali);  diventando quindi, ad esempio, abili nel creare un efficace “patto di coaching” ed esperti nel costruire una relazione di fiducia personale e di stima professionale, i Coach possono ridurre il drop out.
2 – dovrebbe prepararsi anche a gestire emotivamente i drop-out imparando a responsabilizzarsi e ad accettare alcune scelte del Cliente senza dover per forza giustificare sé stesso e attaccare e colpevolizzare il cliente. E su questo vi lancio una domanda provocatoria: quanti Coach riattiverebbero un nuovo caso di Coaching con un cliente che in passato ha abbandonato un percorso senza avvisare?
 

INVIO

Il Coach non risolve tutto. E soprattutto gli ambiti del Coaching sono ben definiti: il Coach lavora su obiettivi e performance. Punto. Ma più spesso di quanto si possa pensare alcuni clienti si rivolgono ad un Coach con una domanda di “Coaching impropria”, con casi che non sono di competenza del Coach. In questi casi un vero professionista, rispettando il principio della centralità del cliente e l’etica professionale, deve operare un corretto “invio” ad altre professionalità. L’invio non è solo verso psicologi o psicoterapeuti, ma può essere anche verso consulenti tecnici, come avvocati, informatici. Ovviamente dipende dal caso specifico. In questo caso amo ripetere ciò che dico spesso: un vero professionista lo si riconosce di più dai casi che non accetta che da quelli che accetta.
Aggiungo che, ovviamente, anche l’invio deve essere “agito” con professionalità, efficacia ed eleganza comunicativa: insomma non basta dire a qualcuno “rivolgiti a…”. Bisogna formarsi bene anche per condurre dei corretti invii professionali.
 

INTERRUZIONE del PERCORSO (da parte del Coach)

Tra le varie possibilità di chiusura ce n’è una poco esplorata e spesso usata male: l’interruzione del caso da parte del Coach.
La maggior parte dei Coach usa questa modalità in quei casi in cui loro non sono soddisfatti dei risultati, quindi nei casi di insuccesso, ma con la tendenza a colpevolizzare il cliente dei mancati risultati. L’interruzione diventa così, non sempre ma spesso, una sorta di “vendetta” del Coach nei confronti del Cliente.
In realtà questa modalità di chiusura, che potrebbe risultare “dura e antipatica”, va sempre usata nell’interesse del cliente.
Per questo motivo può essere usata in molti casi.
Si può ovviamente usare nei casi di insuccesso ma, lo ripeto, senza colpevolizzare il cliente. Anzi, questa interruzione dovrebbe essere un atto di responsabilità e auto-responsabilizzazione. Evitiamo quindi atteggiamenti (o peggio ancora frasi) del tipo “Il mio tempo vale quanto il tuo”, “Se non segui le mie indicazioni è inutile”, “Visto che non ti impegni ti mollo”…
L’interruzione del percorso deve essere una scelta responsabile e strategica, che deve supportare il cliente. Per questo la si può agire in più situazioni, compresi i casi di pieno di successo, o i casi in cui si è fatto un invio a cui è stato comunque affiancato un percorso di Coaching. Ma di queste possibilità, e delle modalità, ovviamente ne parliamo nella nostra Scuola Coaching.
 

SOSPENSIONE del PERCORSO (da parte del Coach)

Infine, un professionista deve contemplare la possibilità di “sospendere” un caso. La sospensione è un’interruzione momentanea, condivisa con il Coachee, e che può essere legata a varie motivazioni: si valla necessità di avere maggiori informazioni, al bisogno di tempi di maturazione di alcuni cambiamenti. Ovviamente anche la sospensione va operata con maestria, accordo, eleganza e, come sempre in chiave strategica, dando delle indicazioni chiare da rispettare sia durante la sospensione e sia per valutare le modalità e i tempi di riattivazione del percorso e ripresa delle sessioni.
Così come ci sono anche altre situazioni in cui si può operare una sospensione, come in alcuni casi di successo parziale.
 
Di seguito un breve schema riepilogativo.
 

Ovviamente, ciò che a mio avviso fa la differenza sono due elementi: primo la conoscenza dei protocolli (quindi delle sequenze logiche) di Coaching; e secondo l’uso di un’eccellente comunicazione strategica, che permette di usare tutte le tipologie di chiusura in modo efficace, elegante, funzionale e, appunto, strategico!
 
Non mi resta che augurarvi buon Coaching… possibilmente strategico!
 
Piercarlo
 

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