Quanto è importante un protocollo nel Coaching?
“Fuori da ogni logica si sta scomodamente comodi”.
Anonimo
Molti sostengono che sia improprio parlare di “Protocolli di Coaching”, in quanto questa disciplina, per natura e per definizione, si adatta al singolo caso e non può essere rigida e predefinita.
Condividiamo pienamente questo atteggiamento orientato all’unicità dei Coachee e alla massima personalizzazione dell’approccio ad ogni singolo caso.
Ma diversamente da come molti sostengono, nel nostro modello di Coaching (il modello strategico del Prof. Nardone) e nella nostra visione, questa flessibilità non contrasta con l’idea di “protocollo di coaching”.
Anzi, un buon protocollo valorizza e facilita la massima personalizzazione e la flessibilità di un percorso di Coaching.
Per questo si parla di protocolli rigorosi ma flessibili.
Ma cosa si intende esattamente?
Nel nostro modello un “protocollo di coaching” è la sequenza logica che aiuta a seguire il processo più funzionale.
Per spiegarlo amiamo usare un’analogia.
Potremmo paragonare il Coaching ad un sistema di navigazione satellitare.
Per avviare una qualsiasi navigazione bisogna seguire un protocollo ben definito: accendere il dispositivo, ricercare almeno tre satelliti per capire la posizione attuale, impostare una destinazione e inserire le modalità di viaggio (se in auto, in bici, a piedi o con i mezzi pubblici). Dopodiché lo strumento esegue un protocollo interno di calcolo ed elaborazione del percorso ed un protocollo di comunicazione audio-visiva del percorso consigliato. C’è anche un protocollo di rielaborazione del percorso in base a variabili come un errore di guida o le informazioni sul traffico.
Il protocollo della navigazione è decisamente flessibile, in quanto possiamo partire da qualsiasi punto e impostare come destinazione un qualsiasi altro punto, ma al tempo stesso è anche molto rigoroso. E proprio questo rigore di processo garantisce la massima flessibilità strategica e operativa. In pratica la sequenza logica ha studiato tutte le variabili che possono intervenire e questo garantisce rigore logico e flessibilità operativa.
Come nella navigazione satellitare all’inizio bisogna collegarsi ad almeno tre satelliti e definire con precisione il punto di partenza, così nel Coaching dobbiamo conoscere la situazione iniziale in cui si trova il nostro Coachee: si esegue così l’indagine conoscitiva iniziale.
Successivamente si imposta la destinazione di arrivo, cercando di definire insieme l’obiettivo e/o la performance desiderata. Ogni punto geografico può essere individuato inequivocabilmente solo avendo coordinate precise, e nello stesso modo il protocollo di Coaching ci chiede di essere molto specifici in questa definizione del “punto di arrivo”. Al contempo bisogna aprirsi anche alla possibilità che strada facendo la destinazione possa variare, per preferenze personali o per molte altre motivazioni.
Un buon protocollo ci ricorda anche che prima di partire è importante chiedersi anche se fino ad ora ci è già stato qualche tentativo di raggiungere quella destinazione. Si va così alla ricerca di precedenti tentativi per capire cosa in passato ha funzionato e cosa non. Questa fase del processo è cruciale, anche perché solitamente ci si rivolge ad un Coach quando già si è cercato di sviluppare una performance o di raggiungere un obiettivo, ma non ci si è riusciti in autonomia. Conoscere quali sono state le strade tentate fino ad ora, i vari “calcoli di navigazione” fatti e quali sono le “mappe di riferimento” utilizzate può essere molto utile per evitare ripetere gli stessi tentativi fallimentari (ricerca delle tentate soluzioni).
Un navigatore poi vuole sapere quali sono gli strumenti e le risorse a nostra disposizione. Viaggeremo in auto, con mezzi pubblici, in bici o in treno? Vogliamo evitare i pedaggi o i traghetti? O c’è un oceano da attraversare? Conoscere le risorse è fondamentale, e il Coaching ci chiede di valutare le risorse cognitive, emotive, comunicative, relazionali ed operative del nostro Coachee.
Infine, ciò che rende un navigatore veramente utile e prezioso sono due caratteristiche senza le quali non lo considereremmo funzionale e strategico: un navigatore deve avere una capacità di ricalcolo e rielaborazione continua del percorso e deve saper comunicare il percorso.
La capacità di rielaborare il percorso è la sua funzione strategica di variare le indicazioni in itinere in base a diverse variabili: dalle interruzioni stradali alle informazione sul traffico, da eventuali errori di guida (giro a destra anziché a sinistra) ad eventuali nuove tappe che vogliamo aggiungere. Allo stesso modo il protocollo di Coaching ci chiede una continua verifica della strategia adottata e della sua efficacia. In questo senso il modello strategico ci consiglia di valutare solo i “cambiamenti”, anche se piccoli, per capire se la direzione è corretta. Proprio come nella navigazione, in cui ad un certo punto bisogna muoversi per capire se la direzione è corretta. Questo movimento può essere sia fonte di errore, che fonte di valutazione ed autocorrezione continua. Il protocollo deve essere autocorrettivo.
Il secondo elemento fondamentale è la capacità comunicativa. Immaginate un navigatore che riesce a calcolare perfettamente il percorso ma che è senza schermo e senza voce. Sa dove dovremmo andare, ma non riesce a comunicarci la strada. Ecco perché nei navigatori la componente comunicativa data dalla grafica e dalle indicazioni vocali è fondamentale. Un Coach deve essere strategico nella comunicazione e adeguarsi al registro del cliente/coachee. Così come quando si entra in galleria e il navigatore cambia colore per evitare di infastidirci la vista, un coach strategico varia stile comunicativo in base al momento specifico e al cliente. E così come molti desiderano indicazioni vocali continue mentre altri preferiscono solo poche indicazioni, allo stesso modo ci adegueremo allo “stile di ascolto” preferito del nostro cliente. E bisogna avere una comunicazione multisensoriale e che sia logica e analogica allo stesso tempo.
Infine, un navigatore rispetta sempre l’autonomia del guidatore e non esprime alcun giudizio sulle destinazioni e sui punti di partenza del guidatore. Allo stesso modo, così come un navigatore non guida la vettura, il Coach non si mette alla guida del Coachee, ma ne rispetta autonomia e responsabilità delle proprie scelte/azioni. E parallelamente, così come un navigatore non ci offende e non ci prende a parolacce quando anziché girare a destra giriamo a sinistra, ma semplicemente ricalcola, allo stesso modo un coach non esprime alcun giudizio sul punto di partenza, sul punto di arrivo e sugli eventuali errori di guida, ma semplicemente “ricalcola” la strategia.
Mi auguro che questa analogia abbia trasmesso l’importanza di avere un protocollo rigoroso e flessibile nel Coaching.
Non mi resta che augurarvi buona navigazione e buon protocollo!
Piercarlo
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