Il potere delle domande efficaci ed eleganti
Chiunque si sia mai interessato di comunicazione sa che le domande rivestono un ruolo cruciale in qualsiasi contesto: ci consentono di far emergere informazioni, orientare l’attenzione dei nostri interlocutori, stimolare in loro attenzione e partecipazione, manifestare o porre dubbi, aiutare la creazione di nuovi punti di vista, evocare sensazioni…
Uno strumento dialogico più che prezioso, insomma.
Nella nostra Scuola, viene posta grandissima attenzione su questo “dispositivo”, con l’obiettivo di saperne sfruttare a pieno il potenziale, riuscendo quindi ad esprimere efficacia, efficienza ed eleganza comunicativa.
Come qualsiasi strumento, anche le domande andrebbero impiegate in modo coerente al contesto e agli effetti che si intende generare; in questo articolo voglio sottolineare la differenza tra le seguenti tre tipologie di domande:
- domande chiuse;
- domande aperte;
- domande ad alternativa di risposta.
Le domande chiuse sono quelle che prevedono una risposta binaria, cioè un “sì” oppure un “no”. “Hai completato il lavoro?”, “Hai effettuato il controllo?”, “Hai parlato con Giovanna?”, ecc.
Le domande aperte invece lasciano ampio margine di risposta: “Di cosa hai bisogno?”, “Cosa è accaduto?”, “Chi è stato coinvolto?”, ecc.
Le domande ad alternativa di risposta indirizzano in parte l’interlocutore, pur lasciandogli la libertà di rispondere in autonomia, senza forzare la mano: “Pensi di riuscire a concludere entro questa settimana o senti di aver bisogno di più tempo?”, “Eri da solo in quell’occasione o c’era qualcun altro?”, “Hai inviato un’email oppure non sei riuscito a farlo?”, ecc.
Se le differenze di “struttura” sono chiare, quali sono gli effetti che ciascuna di queste tipologie di domande può sortire in chi le riceve? Quando è utile usare una tipologia piuttosto che un’altra?
Partiamo dalle prime domande presentate, quelle chiuse: essendo quesiti piuttosto diretti, questi potrebbero forzare un po’ la mano e mettere in crisi la relazione. Spesso, quando li utilizziamo, lo facciamo perché abbiamo la sensazione di accelerare i tempi e andare diretti al punto della questione. Così facendo, però, costringiamo il nostro interlocutore a risponderci con un sì o con un no… è come se lo mettessimo con le spalle al muro.
Chiedendo ad un Collaboratore “Hai completato la pratica del sig. Rossi?”, lo stiamo stringendo all’angolo: nel caso in cui il lavoro fosse ultimato, la risposta “Sì” giungerebbe repentina, senza però fornirci ulteriori informazioni. Nel caso in cui invece il collaboratore avesse incontrato qualche imprevisto, molto probabilmente la tensione relazionale aumenterebbe. Sarebbe ben diverso trasformare la domanda chiusa in: “Hai già completato la pratica del sig. Rossi oppure ci stai ancora lavorando?”. Con questa seconda modalità è come se dessimo l’opportunità al nostro interlocutore di “salvare la faccia”, dal momento in cui il meta-messaggio contenuto nella seconda parte della domanda risulta qualificante (“comunque ti stai impegnando”).
Immaginando uno scenario commerciale, porre una domanda chiusa risulta evidentemente poco funzionale: chiedere ad un Cliente “Le interessa questo prodotto?” potrebbe risultare decisamente meno strategico, nonché meno elegante, di una domanda come: “Le interessa questo prodotto oppure preferisce che le mostri un’altra opzione?”.
Con le domande aperte, invece, ci troviamo di fronte a tutt’altri effetti: queste infatti tendono a concedere molto spazio a chi risponde. Questo può essere più o meno funzionale: se per esempio ci troviamo all’inizio di un colloquio, in cui ci interessa “dare il la” alla conversazione, probabilmente una domanda aperta potrà esserci d’aiuto. Nel caso in cui dovessimo avere esigenza di “stringere” su alcune informazioni, rischieremmo di alimentare qualche divagazione di troppo o generare un po’ di confusione.
Per esempio, se il nostro interlocutore fosse particolarmente incline a parlare molto (magari in virtù di una sua caratteristica o perché particolarmente coinvolto dal punto di vista emotivo), una domanda aperta potrebbe rendere difficile riprendere le redini della conversazione o gestire il tempo a disposizione.
In sostanza, con le domande aperte si rischia di compromettere l’efficienza comunicativa.
Con le domande ad alternativa di risposta possiamo ottenere una serie di effetti interessanti: abbiamo già sottolineato che possiamo inviare meta-messaggi funzionali; oltre a questo, tali domande possono aiutarci ad esprimere maggiore professionalità. Se le due alternative sono ben scelte, riescono a far sentire all’altro che abbiamo buoni livelli di competenza sull’argomento trattato. Se per esempio volessi dare supporto ad un Collaboratore in difficoltà, un conto sarebbe chiedergli “Cosa è successo?”, ben diverso invece sarebbe indicare delle “direzioni” in cui sondare l’accaduto “C’è stato un blocco a livello hardware o software?”.
Anche di fronte ad un Cliente indeciso sarà molto più edificante per la nostra professionalità chiedere “Le scarpe le utilizzerà prevalentemente su strada oppure su erba e terra?”, anziché limitarci ad un più generico “Che tipologia di scarpe desidera?”.
Questa e molte altre sfaccettature della comunicazione strategica, le approfondiremo in occasione del nostro corso dedicato (qui trovi maggiori informazioni).
Non mi resta che chiudere con una domanda: “Conoscevi queste tre tipologie di domande?”, o forse sarebbe più elegante chiederti “Già conoscevi queste tre tipologie di domande, oppure finora ti eri dedicato ad approfondire altri aspetti della comunicazione?”.
Alberto
[…] ti va di approfondire questo aspetto cruciale della comunicazione, clicca qui e leggi l’articolo che ho scritto per il blog di FYM, la società per la quale lavoro e con la quale sviluppo […]