Tra i diritti e i doveri forse bisogna inserire anche il diritto/dovere di errare!
“Chi evita l’errore elude la vita.”
Carl Gustav Jung
Durante le nostre consulenze organizzative e nella formazione di manager e dirigenti, ci ritroviamo sempre più spesso ad argomentare un concetto apparentemente ovvio, ma che risulta molto innovativo e utile: il diritto all’errore.
Nelle organizzazioni più “illuminate” e innovative se ne parla da anni.
In alcune tecniche del modello di problem solving strategico (Prof. G. Nardone), come ad esempio nel “come peggiorare“, in una logica di creatività controintuitiva, l’errore viene addirittura volutamente ricercato e messo “nero su bianco” per poi imparare a prevenirlo e gestirlo.
Ma fino ad ora nessuno ha mai parlato del “dovere all’errore“.
Come? Eh sì…
Ma partiamo con calma dall’etimologia del termine “errare“: l’errore è un vagare senza una meta certa, una deviazione dalla via “giusta” o predefinita.
Nell’errore c’è una dimensione decisamente affascinante: il viaggiare, il muoversi, il vagare perdendosi.
Il diritto all’errore sancisce il diritto, dei propri collaboratori, colleghi, clienti e fornitori a “vagare” nei meandri delle complessità del mondo moderno, compresi processi e attività di lavoro.
Si può errare, ovviamente con la consapevolezza che ogni errore ha conseguenze, effetti, influenze e impatti diversi, sul singolo e sull’intera organizzazione.
Attenzione però: il diritto all’errore non vuole dire sbagliare volutamente.
Né vuole dire creare disastri volutamente o per negligenza/distrazione.
Ma siccome l’errore avviene, e anche abbastanza spesso, anziché fuggirlo come una peste pericolosa, va considerato come possibilità. In quanto tale, il diritto all’errore deve prevedere anche il diritto al cercare di rimediare e il diritto all’apprendimento dall’errore stesso.
Ovviamente ci sono errori “imperdonabili”. Ma almeno che non si tratti della vita di qualcuno, della sua salute o della sua incolumità fisica, psichica ed emotiva, possiamo anche alleggerire quel “peso”, chiamato colpa, che spesso viene “caricato” sugli errori.
Comunque solitamente siamo tutti d’accordo sul fatto che gli errori di tutti i giorni possono essere una risorsa: una fonte di ispirazione per l’innovazione, il cambiamento e il miglioramento continuo e costante.
Potremmo considerare l’errore come un vero e proprio “consulente”: quasi un Coach!
E allora quando si passa dal diritto al dovere dell’errore?
Ci sono dei momenti in cui errare, nel vero senso della parola, diventa un vero e proprio dovere. Secondo noi il momento principale in cui si deve esercitare il proprio dovere all’errore è nell‘apprendimento.
“Un esperto è uno che ha fatto tutti gli errori possibili nel suo campo.”
Niels Bohr
Quando si vuole imparare, si deve errare: bisogna vagare nella materia, negli argomenti, anche correndo il rischio di perdersi, per poi ritrovarsi, magari grazie all’aiuto dei propri insegnanti o di quanto imparato precedentemente o da errori pregressi.
Per questo motivo, ad esempio, durante le attività di formazione l’errore, non solo è auspicabile, ma deve essere anche volutamente ricercato. Questo permette di conoscerne le dinamiche, di scoprire come ci comportiamo quando erriamo, quali sono le reazioni e le risposte altrui, quali le risposte del sistema e quali gli effetti. Errare diventa un modo per esplorare il sistema, l’argomento, gli altri coinvolti e noi stessi. Diventa così un potente strumento di conoscenza personale e sistemica.
Qualche esempio pratico?
Nella nostra Scuola di Coaching, il percorso di formazione prevede che gli studenti seguano almeno 3 casi reali di Coaching, con tanto di registrazione e supervisione di tutte le sessioni. In questa pratica dichiariamo più volte che è doveroso tentare ed errare per poter sperimentare ed imparare. E quando capita, l’errore diventa occasione di “studio”.
In ambito aziendale, ad esempio, quando ci viene chiesto di sviluppare la cultura del feedback sulla base dei modelli da noi sviluppati (FASE PAS e SAGRA), una delle prime attività esperienziali che facciamo svolgere è il “feedback selvaggio”: lo scambio feedback tra i partecipanti, così come pensano di poter fare con gli strumenti a disposizione prima di studiarne di nuovi. Prima stimoliamo e incentiviamo gli errori, (commessi quasi sempre con ottime intenzioni), per poi indirizzarne l’energia sull’apprendimento desiderato, condividendo i nostri modelli pratici .
Volete imparare a scrivere email commerciali eccellenti? Provate prima a scriverne di pessime e poi “mappate” tutti i possibili errori. In linea con lo stratagemma cinese “se vuoi imparare a raddrizzare una cosa impara prima come storcerla di più“, commettiamo volutamente degli errori in un contesto “protetto” per imparare a prevenirli e a gestirli al momento del bisogno reale.
Potremmo definire questo processo in modo epico, chiamandolo “apprendimento errante”.
Durante l’apprendimento bisogna diventare quasi come un “cavaliere errante fedele al proprio sviluppo“.
“Evitare gli errori è un ideale meschino.”
Karl Popper
Il nostro invito è di aprirsi veramente ed autenticamente all’errore, di “mapparli” e di definire quando c’è l’inaccettabilità di sbagliare, quando c’è il diritto all’errore e quando c’è il dovere di errare.
Buon errare e buon apprendimento!
Piercarlo
PS: organizza un corso sulla