
Quanto sono importanti i tempi, l’organizzazione e la distribuzione dei contenuti nella formazione aziendale?
Solitamente non amo le generalizzazioni, soprattutto se semplicistiche, ma credo di poter affermare che al giorno d’oggi siamo (quasi) tutti molto più impegnati. Se una volta la giornata lavorativa era caratterizzata da poche macro-attività e pochi flussi di comunicazione, oggi forse è caratterizzata da molte micro-attività e tante micro-comunicazioni continue. Caratteristiche che richiedono una diversa organizzazione del tempo e una diversa capacità di gestione e autogestione delle proprie risorse mentali, con particolare riguardo all’attenzione.
È semplicistico dire che non siamo più attenti come una volta, o che siamo tutti più distratti. Semplicemente sono cambiati il modo di lavorare, i flussi di comunicazione e le attività.
Una volta si riceveva la posta una volta giorno (la mattina) e qualche telefonata. Oggi ognuno di noi riceve decine, se non centinaia di email, whatsapp, sms e chiamate. Per non parlare delle notifiche delle varie app, aziendali e personali. La cross-medialità di una volta erano lettere, telefonate e qualche fax. Oggi si ha la vera cross-medialità: whatsapp, sms, chiamate, note vocali, email, social, app, etc…
Il tempo resta sempre lo stesso, 24 ore al giorno, ma i tempi sono cambiati, e noi con loro.
Questi cambiamenti, ovviamente, influenzano anche la formazione.
Per questo noi ci chiediamo continuamente quale sia la migliore organizzazione dei tempi della formazione.
Siamo sicuri che la modalità full-immersion sia la migliore?
È funzionale “rinchiudere” le persone 8 ore in un’aula?
È giusto che ci siano dei tempi di pratica, apprendimento autonomo e verifica?
Si parla di corsi di formazione, ma la nostra esperienza ci suggerisce che sarebbe meglio parlare di percorsi formativi: una serie di apprendimenti e di micro-apprendimenti, guidati e sviluppati in autonomia, che sono distribuiti nel tempo e alternati a momenti di pratica.
Ecco che, ad esempio, anziché programmare un corso di due giornate consecutive full-immersion, sarebbe meglio organizzare due giornate separate, per poi arrivare all’approccio bite-size: quattro mezze-giornate separate da tempi di pratica.
In questa immagine d’esempio abbiamo riassunto graficamente le modalità di organizzazione, tenendo conto dei tempi della didattica, dei tempi di pratica e “riposo” tra una sessione e l’altra e i PRO e i CONTRO dei tre diversi approcci. Nell’immagine abbiamo inserito anche lo strumento del pre-engagement iniziale, che nel nostro modello rappresenta un’utile “scintilla” per attivare la motivazione e il coinvolgimento, ma di cui parleremo in un altro post.
Escludendo alcune eccezioni, come i corsi full-immersion che hanno finalità di team building o le attività di natural team building, ad oggi siamo più orientati verso i percorsi e la modalità bite-size: piccoli “morsi” di formazione da massimo 3-4 ore, ma distribuiti nel tempo e inseriti in un piano didattico che richieda pratica, confronto e anche rispetto dei tempi necessari all’apprendimento.
Questa organizzazione in percorsi in formula bite-size permette anche di impiegare una serie di supporti all’apprendimento, che la formula full immersion consecutiva non consente. Si possono attivare, ad esempio, dei project-work, o dei percorsi paralleli di coaching on the job o a distanza, o dei piani d’azione individuali. L’obiettivo di queste attività è di ricontestualizzare gli apprendimenti e applicarli praticamente alla propria quotidianità lavorativa.
Con questo non voglio demonizzare le varie formule full-immersion, che in molti casi, soprattutto in quelle aziende che riuniscono collaboratori distanti, hanno la loro valenza. Anzi, su questo tema, partendo da quanto sosteneva Kurt Lewin che diceva “Nulla è più pratico di una buona teoria”, siamo convinti che la “buona aula”, anche da 8 ore, se organizzata con contenuti di valore e guidata da chi sa interagire con eleganza comportamentale, è molto utile e funzionale.
Buona organizzazione didattica e buoni “morsi”!
Piercarlo