Cosa ogni Coach dovrebbe poter dire della propria Scuola Coaching di provenienza
Il Coaching vive di miglioramento continuo.
E allo stesso modo, in coerenza con questo principio, secondo noi anche le Scuole di Coaching dovrebbero puntare al proprio miglioramento, continuamente e continuativamente.
Cosa dovrebbe quindi poter dire un Coach professionista (e non) della Scuola di Coaching che ha scelto per sé e per la propria formazione?
Noi abbiamo trovato moltissimi punti.
Ma ce ne sono sette che, secondo noi, sono centrali.
1
“Ho un modello di Coaching strutturato e validato sul campo”
Ogni Coach dovrebbe poter dire che il modello di Coaching che usa è stato studiato e sperimentato direttamente sul campo, quindi in casi reali, con delle indicazioni chiare sugli indici di successo. Meglio ancora se il modello è chiaro e strutturato in modo da guidare il Coach in qualsiasi caso. E meglio ancora se il modello è stato validato e studiato scientificamente sul campo. Ad esempio, pochi sanno, che una delle discipline più diffuse nel mondo del Coaching è stata scientificamente invalidata in molte sue tecniche ed in letteratura è considerata una “pseudo-scienza”.
2
“Ho visto il modello in azione su casi reali interi condotti dai Coach”
Leonardo da Vinci diceva “L’esperienza è il solo insegnante in cui possiamo confidare“. Non si può apprendere una professione senza pratica sul campo. E aggiungiamo che l’esperienza deve essere su casi reali. Per questo motivo, secondo noi, un Coach professionista deve aver visto dei casi reali condotti dai propri docenti. Quanti casi reali? Secondo noi almeno una ventina, in modo da aver esperienza diretta su diverse tipologie di casi (time management, prestazioni sportive, performance di leadership, etc…)
3
“Ho usato il modello su casi reali con la supervisione dei miei docenti”
Una delle domande che più mette in imbarazzo i Coach italiani è “Su quanti casi reali hai ricevuto supervisione e feedback durante la tua Scuola Coaching e la tua formazione come Coach?”. Sappiamo che questa è una delle note più dolenti della formazione dei Coach in Italia e in Europa (abbiamo fatto una ricerca e un benchmark proprio sulla pratica su casi reali). E per casi reali intendiamo casi reali con perfetti sconosciuti; non il “coaching fatto in casa agli zii e ai cugini”. E per sessioni su casi reali intendiamo sessioni video-registrate e dimostrabili. E per supervisione intendiamo la presenza del docente con tanto di feedback (in diretta o a seguito della visione del video), con tanto di controllo sull’andamento del caso. Quanti casi? Beh… almeno 3 condotti in prima persona (ma se sono di più è meglio).
4
“In questa Scuola posso approfondire”
Secondo noi una Scuola di Coaching che forma i professionisti ad un primo livello, deve poter permettere degli approfondimenti e delle specializzazioni. E aggiungo che deve permetterlo facendo leva su due aspetti: il primo è legato alla quantità di know-how w e di esperienza, che non può e non deve esaurirsi con un primo step di formazione; in pratica una Scuola dovrebbe “saperne talmente tanto” da poter permettere più step di formazione (ovviamente graduale e progressiva). Il secondo aspetto che deve garantire la possibilità di approfondimenti futuri è il continuo aggiornamento e miglioramento del modello stesso di Coaching, che deve evolversi nei protocolli, nelle tecniche, nella comunicazione e nell’approccio a diverse tipologie di performance e di casistica. Per questo motivo, secondo noi, per poter garantire la possibilità di approfondimento, la Scuola Coaching dovrebbe fare continuamente ricerca sui propri modelli e puntare ad evolverli, anche grazie ai contributi dei propri studenti-coach.
5
“Con questa Scuola posso collaborare”
Sono troppi i Coach che una volta ottenuta la qualifica e l’attestato, si presentano ad altre Scuole, magari con modelli completamente diversi. Il Coaching è talmente vario e vasto, che in molti casi sarebbe come studiare portoghese per poi proporsi come docente in una scuola di inglese. Secondo noi, invece, le migliori Scuole sono quelle che prevedono e permettono la possibilità di collaborare con la Scuola stessa. Ovviamente nessuna scuola può garantire lavoro per tutti i coach che forma; ma deve poter preveder dei percorsi di sviluppo professionale e della collaborazione. Collaborazione che però non deve essere un semplicistico “da domani tu venderai i nostri corsi ai tuoi amici e ai tuoi parenti”.
6
“In questa Scuola c’è un bel clima didattico”
Il clima didattico è importante. L’ambiente influenza le relazioni e le relazioni influenzano gli apprendimenti e il gradimento del processo formativo. Secondo noi in una Scuola dovrebbe esserci un bel clima didattico. Per clima didattico non intendiamo però un approccio auto-celebrativo o celebrativo dei partecipanti: un bel clima didattico non è dire ai corsisti frasi del tipo “siete persone fantastiche e creature meravigliose e straordinarie” o “siete anime stupende che cambieranno il mondo in meglio”. Un buon clima didattico è autenticamente orientato all’apprendimento e permette di poter sbagliare con la tranquillità e la serenità di apprendere dai propri errori.
7
“In questa Scuola posso continuare a far pratica (su casi reali)”
La pratica, secondo noi, deve essere continua. La pratica suddivisa in assistere a circa venti-trenta casi reali condotti dai docenti e tre casi condotti in prima persona con supervisione, non è poco… ma non basta! La pratica è tale solo se è continuativa e permette un perfezionamento continuo nel tempo. Di ogni scuola di coaching si dovrebbe poter dire “qui posso continuare a fare pratica”. Questo è il motivo per cui noi abbiamo ideato i Coaching LAB e il Coaching Program. Parola d’ordine: pratica, pratica, pratica… e solo su casi reali!
E tu? Cosa puoi dire della tua Scuola Coaching? O cosa vorresti poter dire?
Buon coaching!
Piercarlo