Il Coaching non è una pillola, ma un abbonamento in palestra!
Ancora incontriamo aziende in cui quando viene proposta la possibilità di seguire dei percorsi di coaching individuale, molti collaboratori si rifiutano, a volte anche infastiditi dalla richiesta/proposta da parte dell’azienda.
Sicuramente, e ne abbiamo parlato più volte, è importante non imporre il servizio di coaching (ma presentarlo come opportunità) e rispettare alcune best practice per proporre il servizio di coaching in modo coinvolgente.
Ma, soprattutto, il coaching deve essere vissuto, sia dall’azienda committente e sia dal collaboratore a cui viene proposto, non come uno strumento per “aggiustare qualcosa che non funziona“, ma piuttosto come un modo per migliorare e migliorarsi: allenamento appunto.
E c’è una grande differenza!
Molti hanno resistenze verso il farsi aiutare, considerando l’aiuto come un ammissione di debolezza.
E anche se secondo noi non è così (anzi, farsi aiutare è sinonimo di grande forza interiore) non è sempre facile “scardinare” queste credenze da “macho”.
Ma se il coaching è percepito come una “pillola che guarisce”… chi lo riceve pensa di essere un “malato”, o ha timore di essere percepito come tale, ed è probabile che opponga resistenza.
Il coaching, invece, è allenamento.
Anzi… di più: è un abbonamento in palestra che permette di allenarsi.
Quando un’azienda propone del coaching ai propri collaboratori, non gli sta proponendo la visita del medico… ma un abbonamento in palestra.
Una piccola differenza che fa una grande differenza a livello di percezione.
Sì, vero, posso andare in palestra per risolvere qualche “piccolo problemino”… ma poi continuo ad andarci perché voglio godere dei benefici di un sano allenamento.
E questo è il coaching secondo noi: crescita, sviluppo, miglioramento e allenamento continuo… allenamento del proprio modo di pensare, parlare e agire…
Ovviamente ci sarà sempre chi, pur ricevendo l’abbonamento alla palestra omaggio (che poi in realtà è pagato dall’azienda) non lo sfrutterà, o per pigrizia (“me lo pagano ma non ci vado… ho altro da fare“) o per resistenza oppositiva (“pensano che io sia poco performante… ma tanto io non ci vado lo stesso“), ma questo modo di pensare, percepire e raccontare il coaching sicuramente aumenta l’engagement e l’accettazione del servizio.
Non solo… questo modo di viverlo come un’opportunità, addirittura, ne aumenta le richieste da parte dei collaboratori.
E ne abbiamo evidenza sul campo: conosciamo aziende in cui i collaboratori rifiutano (anche in malo modo) il coaching… e altre in cui i collaboratori lo richiedono…
Stesso servizio… due approcci completamente diversi.
E quali sono le variabili che influenzano l’accettazione o la resistenza al servizio?
Noi ne individuiamo tre:
1 – come i coach o l’azienda di coaching presentano il servizio, suggeriscono di presentare il servizio e come presentano loro stessi;
2 – come l’azienda presenta e propone il servizio di coaching;
3 – pregiudizi individuali e scelte individuali di chi riceve la proposta.
Quindi c’è una responsabilità dell’organizzazione committente… e una responsabilità del coach (o dei coach).
Ma soprattutto c’è, come spesso accade, una responsabilità dell’individuo.
Se anche dovessero propormi del coaching perché dal loro punto di vista non sono performante, perché rifiutarlo se io per primo, invece, la considero come un’opportunità di crescita.
Di fronte a questa percezioni molti imprenditori (poco illuminati) spesso ci fanno la domanda: “OK, io investo su di loro… ma se poi se ne vanno?“.
E noi solitamente rispondiamo con un tuonante “E se non investi su di loro e poi restano?“…
Un modo un po’ provocatorio di rispondere, ma che permette di far capire, e soprattutto percepire, l’importanza dello sviluppo del fattore umano, con tutti i rischi che potrebbe comportare. Anche perché il mancato sviluppo rappresenterebbe un rischio ben maggiore.
Ad ogni modo il considerare il coaching come allenamento riduce e ristruttura la percezione del “non ne ho bisogno”.
Chi non ha bisogno di allenarsi?
Chiunque beneficia dell’allenamento, anche chi è già molto allenato… proprio perché è allenamento e non una “pillola”.
Sicuramente, come nella maggior parte dei casi, chi più ne ha bisogno non percepisce il bisogno o lo nega… ma considerare il coaching come “allenamento” è sicuramente un punto di vista diverso.
Tra le altre cose, il termine coaching, tradotto in italiano, significa proprio “allenamento”.
Per questo motivo noi stessi usufruiamo dei nostri servizi di coaching.
Quando vogliamo sviluppare le nostre performance, migliorare e migliorarci… attiviamo casi di coaching interni alla nostra scuola.
Come ogni bravo allenatore che si allena e si fa allenare.
E di questo siamo orgogliosi: i corsisti della nostra Scuola di Coaching vedono noi docenti ricevere coaching su nostri obiettivi e performance… e vedono che noi stessi, per primi, crediamo nel concetto di “allenamento” sotteso al coaching.
E tu?
Hai mai ricevuto del coaching?
Hai degli obiettivi su cui potrebbe esserti utile un “allenamento” mentale ed emotivo diverso?
Ricorda: il coaching non è farsi aiutare, ma farsi allenare!
Buon Coaching!
Piercarlo
PS: richiedi la convenzione per i nostri servizi di coaching aziendale, oppure attiva un caso di coaching con noi (anche a condizioni promozionali se ti fai seguire nei nostri Coaching LAB).