Ma è davvero così importante uscire dalla zona di comfort?
Nel 1995 partecipai al mio primo corso di formazione, sulle tecniche di memoria, e il contenuto che più fece colpo sulla mia mente adolescenziale fu il concetto di zona di comfort. Ne rimasi affascinato ed entusiasta.
Da quel momento mi appassionai alla formazione e divenni un fedelissimo del principio di uscire a qualsiasi costo dalla zona di comfort, per cercare di espanderla il più possibile!
Sulla base di questo principio, ho sviluppato la capacità di poter fare viaggi di lusso in hotel 5 stelle e poter viaggiare on the road, facendo l’autostop, da solo e in paesi considerati “pericolosi”. Dovevo per forza, quasi a tutti i costi, allargare la mia zona di comfort.
Dopo anni di passione per la formazione ho scoperto che alla base di quel principio, in realtà c’era un modello strutturato e che a me era stato trasferito in modo incompleto. Nella mia mente esisteva la zona di comfort, che aveva una valenza solo negativa e tutto ciò che circondava la zona di comfort, che rappresentava la zona delle opportunità. Scoprii, invece, che il modello completo prevede ben due zone che circondano la comfort zone: la zona di apprendimento (learning zone), chiamata anche “challenge zone” o “stretch zone”, e la zona di panico (o “panic zone”), in cui solitamente la capacità di azione si riduce e si attivano reazioni automatiche neurobiologicamente programmate (fuga, paralisi e attacco).
Già questa idea di “pericolo” ridimensionava la positività di tutto ciò che era fuori dalla zona di comfort.
Se è vero che oltre la zona di comfort c’è la zona di apprendimento, è anche vero che c’è una zona di panico e di rischio.
Per fortuna si cambia, si cresce e si cambia idea!
Iniziai così a mettere in dubbio l’imperativo didattico “esci dalla zona di comfort”, perché per alcuni e in alcune situazioni potrebbe non essere sicuro.
Ho continuato a studiare questo modello, a rifletterci su e a renderlo più specifico, fino ad usare definizioni diverse.
Ad esempio, la zona di comfort è caratterizzata dalle abitudini e dalla sensazione di agio. Ma non tutte le abitudini e le situazioni che ci fanno stare a nostro agio sono negative. Leggere è nella mia zona di comfort, e non è negativo. Così come fumare o consumare droghe sarebbero nella mia zona di apprendimento, ma non li trovo per nulla utili e funzionali! Ecco che la definizione “zona di apprendimento” potrebbe essere in qualche modo fuorviante.
Così negli anni come azienda di formazione abbiamo continuato ad usare il modello della zona di comfort, ma in maniera diversa. In linea con il principio del dualismo complementare proprio del taoismo, dove non c’è bene e male, o bianco e nero, ma nel nero c’è il principio del bianco e nel bianco c’è il principio del nero, così nella zona di comfort ci possono essere abitudini funzionali e disfunzionali. Allo stesso modo nella zona di apprendimento ci possono essere apprendimenti utili e apprendimenti disfunzionali o da evitare.
In questo modo il modello acquista una valenza decisamente diversa.
Ci stimola a valutare continuamente la funzionalità delle nostre abitudini, sapendo che possiamo definirle tali se le agiamo senza difficoltà e sentendoci a nostro agio; contemporaneamente ci stimola a valutare le opzioni e le opportunità che ci vengono offerte dall’uscire dalla zona di comfort, scegliendo quelle per noi più funzionali e stimolandoci a superare eventuali resistenze e le sensazioni di disagio che si provano nei tentativi di apprendimento.
Questo approccio ci aiuta anche ad evitare, o ridurre, le possibilità di essere manipolati attraverso il concetto e l’idea di dover uscire dalla comfort zone a tutti i costi.
Da questa diversa prospettiva nasce il nostro Modello della Zona di Comfort di Ruolo, che chiede quali dovrebbero essere le aree di comfort del ruolo che noi rivestiamo personalmente e/o professionalmente.
Da questo lavoro emergono quasi sempre delle aree di apprendimento in relazione al proprio ruolo.
Qualche esempio?
Chi lavora negli uffici amministrativi probabilmente dovrà inserire nella colonna della propria zona di comfort di ruolo la capacità e le competenze per interagire con clienti che non pagano o che pagano in ritardo. Questo comporta l’apprendimento e lo sviluppo di queste capacità/competenze. Il che, molto probabilmente eviterà che qualche cliente possa non pagare o ritardare il pagamento, ma ci permetterà di saper fronteggiare meglio la situazione e non lamentarcene (leggi l’articolo sulla gestione delle lamentele).
In questo modo la zona di comfort ideale e ipotetica diventa addirittura elemento di guida e obiettivo dello sviluppo personale e professionale.
Ovviamente, contrariamente a quanto afferma il titolo di questo articolo, questa non è la verità sulla zona di comfort, ma semplicemente il nostro punto di vista.
Buona zona di comfort!
Piercarlo