Risolvere è diverso da rispondere, e l’uno non esclude l’altro
Molte organizzazioni e molte unità organizzative si stanno concentrando sempre di più sulla propria capacità di risposta. Questa attenzione sposta il focus su alcuni indicatori quali i tempi di risposta, il numero di risposte, il numero di email cui si risponde, etc… A tal proposito, ad esempio, potete usare anche strumenti quali Emailmeter, che ogni mese vi restituisce dati e statistiche sulla capacità e la tempestività di risposta.
Ma siamo sicuri che basti rispondere?
In un mondo del lavoro sempre più complesso, in un mondo dove i flussi di comunicazione aumentano sempre di più, bisogna stare attenti a non cadere nella trappola del “semplice rispondere”.
Molte comunicazioni, molte richieste e molte domande non hanno bisogno di “semplici risposte”, ma richiedono molto di più: chiedono SOLUZIONI.
Ecco che, secondo noi, bisogna lavorare parallelamente su due abilità:
1 – la capacità di RISPONDERE;
2 – la capacità di RISOLVERE.
Rispondere è diverso da risolvere. E risolvere è diverso da rispondere. L’uno non nega l’altro. L’uno non comporta l’altro. Ma spesso, insieme, rendono un’organizzazione efficace, efficiente ed elegante… e il cliente soddisfatto.
Mi sono divertito ad “incrociare” le due abilità in una matrice a doppia entrata, ed ecco che si formano quattro quadranti su cui riflettere.
1 – NON RISPONDERE e NON RISOLVERE
Chiami un numero e non rispondono. Scrivi un’email e non ti rispondono. Ti fissano un appuntamento e non si presentano. Tutti questi comportamenti rientrano nel “Non rispondere e non risolvere”. La mancata risoluzione è ovviamente legata all’assenza totale di risposta, che interrompe proprio sul nascere la possibilità di comunicazione.
Qualche settimana fa, ad esempio, per un problema su una strada, ho provato a chiamare un comune e la polizia locale: 7 chiamate da 18 squilli l’una, senza risposta. Ho chiamato allora il 112, che mi ha passato la polizia locale: e nuovamente ZERO RISPOSTE. Ovviamente al problema non c’era possibilità di risposta. In queste organizzazioni incapaci di rispondere, o con tempi di risposta lunghissimi e inadeguati, servono interventi strutturali importanti su persone, organizzazione, processi e strumenti. In alcuni casi anche sui valori, fino a cambiare completamente le persone. Vi è mai capitato di interagire con qualcuno che “lascia squillare il telefono per ore” e si trova invece in una posizione in cui i tempi di risposta sono importanti? Ad esempio i numeri di emergenza: la capacità di risposta è centrale. Provate a far chiamare la vostra azienda. Provate a far scrivere un’email alla vostra azienda. E valutate, oggettivamente e senza dover squalificare o penalizzare nessuno, la vostra capacità di risposta. Non rispondere impedisce di accogliere e di cogliere grandi opportunità. Non rispondere rende i clienti (o i potenziali clienti) insoddisfatti, frustrati con pesanti conseguente sul business (come il passaparola negativo, pessime recensioni e tanto altro…).
Ovviamente non basta rispondere. Bisogna anche saper rispondere! Nell’esmpio di prima, dopo la 3^ chiamata passata tramite il 112, finalmente la polizia locale ha risposto e la prima frase pronunciata dall’operatrice (dopo che mi sono presentato con un “Buongiorno, sono Piercarlo Romeo e chiamo per fare un’importante segnalazione“) è stato uno sgarbatissimo “Non ho capito cosa vuole da noi…“.
Ahi… quanto lavoro che c’è ancora per noi formatori e consulenti…
L’area del “non rispondere e non risolvere” è la più pericolosa, rossa, da evitare e che richiede un intervento immediato. In quest’area le aziende chiudono rapidamente. I collaboratori che con il loro comportamento si trovano in questa area presto vengono allontanati (e con una buona motivazione).
2 – RISPONDERE e NON RISOLVERE
In quest’area, di un rosso un po’ più leggero, si trovano tutte le organizzazioni che rispondono ma che non risolvono i problemi ai propri clienti o potenziali clienti. Le risposte che danno solitamente queste organizzazioni o i loro collaboratori sono spesso “deresponsabilizzanti”: “deve chiamare un altro numero“, “deve rivolgersi a…“, “non compete a noi…“, etc…
Il cliente riceve una risposta, ma non una soluzione. E in molti casi, se il cliente incontra più volte organizzazioni che rispondono ma che non risolvono, si perde in infernali gironi di risposte inconcludenti e senza soluzioni pratiche e concrete.
Vi faccio un esempio personale molto pratico: a seguito della pandemia mi sono permesso di chiedere alcune informazioni ad un ente pubblico, la cui risposta è sempre stata tempestiva, ma mai risolutiva. L’unica risposta che ricevevo era un solerte “sollecitiamo l’ufficio competente”. Dopo innumerevoli messaggi (circa una ventina) e nove mesi di pressioni, mi sento rispondere che c’è stato un errore sulla pratica e da parte di un altro ente. In pratica per nove mesi mi hanno solo risposto, senza darmi una soluzione e, peggio ancora, senza darmi informazioni utili per poter risolvere anche in autonomia e con l’altro ente. Ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte ad un ente e a collaboratori la cui performance era misurata in quantità di risposte e tempi di risposta: mi hanno risposto sempre e anche di domenica sera tardi… ma senza alcuna valutazione del potenziale risolutivo delle risposte.
Attenzione perché in questi casi il cliente o il potenziale cliente potrebbero rimanere ancora più delusi. Eh sì, perché le risposte generano un’aspettativa di soluzione. Trovando un interlocutore, il cliente punta a costruire una relazione, generando così un’aspettativa. Aspettativa che poi però potrebbe essere delusa e disattesa dalla mancanza di soluzioni concrete.
Chi risponde ma non risolve dovrebbe sviluppare dei programmi di formazione interna sul Problem Solving e sulla Responsabilizzazione. In questo, ad esempio, devo fare i miei complimenti al numero unico di emergenza 112: anziché rispondere “deve chiamare la polizia locale…“, agiscono dicendoti “le passiamo direttamente la polizia locale…“, responsabilizzandosi, agendo e facilitando la risoluzione.
3 – RISOLVERE ma SENZA RISPONDERE
Questo è un caso raro, ma in alcune organizzazioni accade. In pratica l’organizzazione prende in carico una questione ma non risponde al cliente; poi la risolve ma non aggiorna il cliente della soluzione. Cliente che ovviamente attende un aggiornamento, e che poi, solitamente, si interessa in prima persona per scoprire la risoluzione del problema. Ovviamente bisogna distinguere tra i vari servizi e le varie organizzazioni. In alcuni casi, ad esempio, la soluzione comunica sé stessa in autonomia. Ad esempio, se manca la corrente e avvisiamo il nostro gestore, magari attraverso un sistema automatico che non ci dà una risposta precisa, la riattivazione della corrente stessa ci comunica la soluzione. In alcuni casi, invece, mi è capitato di inciampare in RISOLUZIONI SENZA RISPOSTE: una volta ho sollecitato un’autorizzazione per un intervento sulla vettura aziendale; l’operatore mi ha promesso che sarei stato avvisato via email e via sms e invece ho scoperto io che l’autorizzazione era stata concessa solo dopo 7 giorni di chiamate. Anche internamente si erano persi l’informazione. Capita, ci mancherebbe, ma siamo di fronte ad un caso di soluzione senza risposta/comunicazione. E le soluzioni non comunicate, anche se sono “arancioni”, e quindi meno gravi dei “rossi del non risolvere”, sono comunque da ridurre e da evitare. La comunicazione è importante e lo è sempre di più, soprattutto in un mondo sempre più veloce e sempre più “comunicativo”.
4 – RISPONDERE E RISOLVERE
Questa è la situazione ideale. In questa area “verde” ci sono le aziende eccellenti che curano la relazione e che esprimono alti livelli di problem solving e di responsabilizzazione. Organizzazioni e collaboratori che fanno attenzione alla comunicazione, ai flussi, alla continuità e all’efficacia della comunicazione, ponendo attenzione anche alle soluzioni pratiche e concrete da offrire ai clienti e ai potenziali clienti. Risposte e soluzioni danzano insieme, in quella che potremmo definire la “danza del servizio e della customer satisfaction”: le risposte danno informazioni sulle possibili e concrete soluzioni (e sui loro tempi e modalità) e le risoluzioni sono comunicate e condivise continuamente. Non è facile, soprattutto quando i carichi di lavoro sono notevoli. E specie se la relazione con il cliente spinge lo stesso ad avanzare molte richieste. Ma questo deve essere l’obiettivo secondo noi: rispondere e risolvere, risolvere e rispondere.
La formula ideale sarebbe: rispondere – risolvere – rispondere. Si accoglie la richiesta, si risolve e si comunica la risoluzione, sapendo che possiamo considerare il caso chiuso quando un cliente lo considera tale (accettando anche la logica del silenzio assenso, come in molti casi).
Ecco che questo “semplice” schema ci invita a domandarci quanto e come rispondiamo e quanto e come risolviamo, invitandoci ad “incrociare” le due azioni e dare alle nostre organizzazioni nuovi impulsi verso una sempre maggior capacità di RISPOSTA e RISOLUZIONE!
E nella tua organizzazione come va? Rispondete? Quanto e come? E risolvete? Quanto e in che tempi? E tu come collaboratore, ti limiti a rispondere o cerchi (e trovi) anche soluzioni.
Eh sì, questo “schema” si può estendere anche al singolo collaboratore.
Vi faccio un esempio pratico?
Dire “non lo so fare” è una risposta, ma non è una soluzione. Già dire “non lo so fare ma conosco chi può farlo” è una mezza soluzione. Il massimo, secondo me, potrebbe essere il “non lo so fare ma posso imparare a farlo“: risposta e soluzione. Se poi aggiungiamo anche una data di scadenza all’apprendimento e allo svolgimento è ancora meglio.
Buone risposte e buone soluzioni!
Piercarlo
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