Scopriamo insieme i 4 elementi essenziali per diventare coach professionisti e per imparare il coaching
La scorsa settimana, per la prima volta in 12 anni di attività, abbiamo ricevuto la seguente risposta da una persona che ha chiesto informazioni sulla nostra Scuola di Coaching: “Ah, ma io cercavo un corso, non una scuola” (e io personalmente ho apprezzato la schiettezza e la consapevolezza sottese a questa risposta).
Abbiamo già parlato delle differenze tra corsi, percorsi e scuole, dichiarando apertamente di aver fatto la scelta (a volte difficile) di essere una vera e propria Scuola.
Ma quando si parla di Scuola, dobbiamo forse approfondire ed esplorare meglio quelli che per noi sono i quattro elementi essenziali per poter diventare un Coach professionista o imparare il Coaching seriamente.
Come potete vedere dalla seguente infografica, i 4 elementi sono:
– formazione;
– studio e letture;
– osservazione di casi reali;
– pratica in prima persona su casi reali.
1 – Formazione
Un coach deve formarsi: deve formarsi bene per diventare un coach; deve continuare a formarsi per diventare un valido professionista del coaching; e deve formarsi continuamente per rimanere aggiornato e per eccellere e distinguersi. La formazione deve essere sì pratica, ma deve fornire delle solide basi teoriche che possano permettere di padroneggiare un modello e affrontare qualsiasi tipologia di caso. Come diceva lo psicologo di Kurt Lewin “Niente è più pratico di una buona teoria”. La nostra formazione lavora sugli elementi del coaching strategico (del Prof. Giorgio Nardone) e in linea con la praticità del modello lavoriamo su quei saperi che sono applicabili nella realtà e che servono nei momenti operativi. Ad ogni modo un buon impianto teorico serve. E ribadisco che deve essere “buono”, inteso come valido e validato.
Cosa deve sapere un Coach?
Secondo noi le aree del sapere operativo sono 5 + 1.
1 – Principi di Coaching: un Coach deve conoscere cos’è il coaching, cosa non è, quali sono le differenze con altre tipologie di intervento e supporto all’individuo e alle organizzazioni, le norme, i campi di applicazione e la corretta terminologia. Un esempio? Circa il 95 dei Coach in Italia usa termini scorretti, inappropriati, impropri o “pericolosi” quali “accreditamento”, “coach certificato” (in caso di attestato), “diploma”, “ipnosi”. E molti altri, invece, usano il coaching in ambiti di competenza di altre discipline regolamentate dalle leggi dello Stato. Insomma, si parte sempre da solide basi.
2 – Comunicazione Strategica: il Coaching vive di comunicazione ed in particolare di dialoghi. Non di dialettica, ma di dialogo. E un Coach abile deve padroneggiare gli strumenti della comunicazione, del dialogo, delle domande, delle parafrasi e del linguaggio analogico.
3 – Problem Solving: un Coach deve saper supportare nello sblocco e nello sviluppo delle performance, e quale strumento migliore delle più evolute strategie e tecniche di problem solving? Molti, in un modo che trovo simpatico, attaccano il modello strategico e alcuni, addirittura, trovano improprio l’uso del termine “problem solving” sostenendo che il coaching non lavora sui problemi e sui blocchi ma solo su obiettivi e performance. Alcuni, quasi ciecamente, negano proprio l’uso del termine “problema”. Sono talmente orientati alle soluzioni e agli obiettivi, che il loro problema più grande è la parola problema; capita anche di incontrare qualcuno convinto che se prendi un “problema” e lo chiami “opportunità” o “sfida” lo hai già risolto. A tal proposito vi consiglio il divertente video di Roberto Mercadini. Nel nostro approccio, in cui non abbiamo problemi ad usare il termine problema, né a trovarne, né ad affrontarli e risolverli, il Problem Solving è, insieme alla Comunicazione Strategica, uno dei due pilastri su cui poggia tutto il modello di Coaching.
4 – Protocolli di Coaching: un Coach deve conoscere la “sequenza logica” dei vari tipi di intervento di Coaching. Come iniziare, cosa fare strada facendo, come proseguire in caso di difficoltà e di resistenze al cambiamento…
5 – Tecniche di Coaching: ovviamente un Coach deve conoscere le tecniche che può usare durante i suoi percorsi. Come in molte professioni, la conoscenza degli strumenti tecnici è essenziale.
6 – Equilibrio Emotivo e modello di Coaching In Cammino: un Coach per noi deve avere un buon equilibrio emotivo, deve conoscere le emozioni che spesso sono i driver dei cambiamenti più profondi. Inoltre, siccome la nostra Scuola è stata la prima ad ideare la pratica del Coaching In Cammino (nel 2010), facciamo sperimentare ai futuri coach la possibilità di condurre coaching camminando.
2 – Studio e letture
Un buon impianto teorico deve avere anche una bibliografia di riferimento. Leggere aiuta a capire ciò che si impara nella formazione e durante la formazione si chiariscono molto meglio quanto si legge nei libri. Per questo motivo una Scuola Coaching, secondo noi, deve fornire una valida e deve invitare i futuri coach a leggere, non solo per approfondire, ma anche per andare direttamente alle fonti.
3 – Osservazione di casi reali
Se domandate ad un Coach professionista “Quanti casi reali interi hai visto condurre ai tuoi docenti durante la tua formazione?” la maggior parte dei Coach italiani, forse il 99%, risponderà “ZERO” o eviterà di rispondere per non sentirsi in imbarazzo. Se domandate ad un chirurgo a quante operazioni ha assistito prima di operare lui in prima persona, saprà dirvi a quante decine di interventi ha assistito. E così in quasi tutte le professioni: il mestiere si impara anche, e soprattutto, vedendo qualcuno esperto svolgere il mestiere per poi affiancarlo fino a diventare pienamente autonomi. Non c’è altra via. Altrimenti, e mi dispiace dirlo, ci si improvvisa e si fa ciò che crediamo sia coaching. Incontriamo tantissimi “coach” formati in altre scuole che non hanno mai visto un caso reale, ancor meno casi interi. Mentre un coach in formazione deve assistere a molti casi, di varie tipologie, quali casi di decision making, di sblocco della performance, di sviluppo della performance, di gestione della tensione pre.performance, etc.. E aggiungo, ed è importantissimo, bisogna assistere anche a varie evoluzioni dei casi, ed in particolare a casi di “invio”, “drop out”, “successo pieno”, “successo parziale”, “sospensione” o “insuccesso”. Altrimenti si pensa di conoscere il coaching. Sarebbe come pensare di esser chirurghi perché abbiamo giocato per mesi all’allegro chirurgo! Secondo noi un Coach dovrebbe aver assistito ad almeno una decina di casi reali interi. Per questo motivo la nostra Scuola prevede l’accesso per 12 mesi ai Coaching LAB (e alle relative registrazioni dei casi), permettendo così di poter assistere a circa 40-50 casi reali in un anno.
4 – pratica in prima persona su casi reali
Il quarto pilastro, su cui poggia una solida e ottima formazione, è la pratica in prima persona su casi reali interi di coaching. E quando intendiamo casi reali, intendiamo con clienti veri: porfetti sconosciuti che hanno obiettivi da realizzare e performance da sbloccare/sviluppare. Per questo motivo nella nostra Scuola chiediamo la conduzione di almeno 3 casi reali. Per questo motivo assegniamo noi i casi ai corsisti (con perfetti sconosciuti). Per questo motivo assegniamo anche casi di clienti reali paganti. Bisogna sperimentarsi realmente, in prima persona, e con la supervisione e i feedback di un coach professionista esperto. Solo provando a mettere in pratica e ricevendo feedback costruttivi e migliorativi, si può sviluppare professionalità. Ma questo è il nostro modo.
E tu? Cosa ne pensi? Quali sono i modi per diventare un Coach professionista? E hai mai partecipato ad un nostro Coaching LAB in cui conduciamo casi reali? Scrivici per richiedere l’accesso come ospite e potrai capire meglio cosa intendiamo…
Buon Coaching!
Piercarlo