L’etica nella formazione dei Coach Professionisti
Qualche tempo fa un docente di una Scuola di Coaching mi scrisse, quasi attaccandomi, dicendo che il nostro modo di condurre casi reali nei Coaching Lab era poco etico.
Chiedendogli cosa lo portasse a pensare una cosa del genere mi disse “in questo modo non rispettate la privacy e la riservatezza dei clienti“.
Gli risposi che noi abbiamo sempre rispettato la privacy e la riservatezza dei clienti/coachee, in quanto chiediamo loro il consenso, sia alla partecipazione dei corsisti della nostra Scuola di Coaching e sia alla registrazione per scopri didattici e di qualità. E gli chiediamo il consenso più volte: una prima volta in fase di richiesta del servizio di coaching, poi al momento dell’attivazione (quindi con la prima chiamata) e poi prima di iniziare ogni singola sessione. Ovviamente questo scambio comporta dei vantaggi reciproci: loro ricevono coaching a tariffe vantaggiose, e noi abbiamo casi reali utili alla pratica e alla didattica.
Ma niente. Lui insisteva sul trovare poco etica la nostra pratica di coaching su casi reali e con clienti veri.
E aggiunse anche che a seguito di un mio articolo sulle “5 domande da fare ad una Scuola di Coaching“, adesso si trovava a dover rispondere alla richiesta di poter visionare casi reali interi di coaching condotti dai docenti/coach; una richiesta mossa dai corsisti e dagli interessati che però è in forte contrasto ai loro principi etici e deontologici.
Tentai così un’altra strada “morbida”, condividendo che addirittura in ambito medico-sanitario, dove le informazioni sono decisamente più sensibili e i casi ancor più “particolari”, con il consenso informato del paziente è possibile far assistere altri all’intervento chirurgico e registrarlo (così come io ho la registrazione del mio intervento al ginocchio, a cui, tra l’altro, hanno partecipato dei tirocinanti).
Figuriamoci nel Coaching, dove si lavora principalmente, per non dire quasi esclusivamente, su obiettivi e performance. Ovviamente i valori di riservatezza e rispetto della privacy sono centrali e sottesoi al rapporto di fiducia tra coach e coachee, e FYM li riconosce pienamente. Motivo per cui a seguito di quanto poi a volte emerge durante le sessioni, alcuni casi vengono archiviati come riservati e resi inaccessibili ai corsisti, anche senza la richiesta del coachee.
Ma per il nostro collega anche questo punto di vista non fu sufficiente, insistendo ancora sul principio etico da lui sostenuto.
Ho deciso così di rispondere in un modo un po’ più forte, sostenendo, cosa che penso veramente, che anche l’etica è un punto di vista, alimentato da diverse credenze, e che la nostra etica è decisamente diversa.
Noi di FYM, ad esempio, troviamo poco etico dare l’attestato da Coach Professionista a chi:
1 – non ha mai assistito a casi reali interi di coaching svolti da docenti e coach professionisti con clienti reali;
2 – non ha mai condotto casi reali interi di coaching, con clienti veri (meglio se sconosciuti e assegnati dalla scuola) con la supervisione, in diretta o differita di un docente/tutor.
Dare l’attestato da Coach a chi non ha mai assistito a casi reali interi di Coaching condotti da coach professionisti e non ha mai condotto casi reali interi con la supervisione dei propri docenti/tutor, sarebbe come dare l’attestato da “chef” a chi ha letto il nostro libro di ricette o ha assistito solamente alle nostre spiegazioni di come fare una ricetta, senza mai aver assaggiato nessun piatto preparato dall’aspirante chef.
E questa è la mia risposta a chi tende a trincerarsi dietro il valore della privacy e della riservatezza: per dichiarare che qualcuno sia Coach devi averlo visto fare coaching su casi reali interi, quindi dalla prima fino all’ultima sessione, con clienti veri (meglio se sconosciuti) e devi avergli dato feedback (possibilmente migliorativi). E poi devi aver avuto modo di vederlo su altri casi, e verificarne così gli apprendimenti e lo sviluppo delle competenze di coaching. Senza supervisione alla pratica su casi reali, lavorando solo su simulazioni, o su casi con “la nonna, lo zio e la cugina”, come facciamo ad attestare che qualcuno sia Coach? E senza mostrare ai corsisti cosa fare e come farlo, su casi reali e con clienti veri, come possiamo pretendere, o peggio ancora promettere, che possano imparare il coaching? Noi lo troviamo poco etico.
Per questo noi lavoriamo su oltre 100 casi reali interi l’anno: perché la nostra etica professionale ce lo impone.
E per questo motivo molte grandi organizzazioni e business school stanno scegliendo FYM e i coach FYM: perché sanno che i Coach che si sono formati con noi hanno visto Coaching e hanno fatto Coaching, veramente, e non solo simulazioni. E per dirla tutta, le simulazioni solitamente sono solo delle prime sessioni, e quasi mai su un caso intero.
Per questo il nostro consiglio a chiunque voglia diventare un Coach professionista, è di chiedere alla propria Scuola la visione e l’accesso ad almeno una ventina di casi reali interi di Coaching (di diversa tipologia) e di poter ricevere supervisione ad almeno 3-4 casi reali condotti in prima persona (meglio ancora se assegnati dalla scuola stessa).
Buon Coaching!
Piercarlo
PS: scopri la nostra Scuola e i nostri Coach su coaching.fym.it
Mi piace legare il concetto di Etica a quello di Identità.
Già il fatto che FYM metta i propri coachee nelle migliori condizioni di POTER SCEGLIERE liberamente, la pone nelle condizioni di esprimere la propria Identità con trasparenza ed onestà.
La possibilità di SCELTA rientra anche negli obiettivi che un buon Coach deve porsi nei confronti del suo cliente. Quindi, a maggior ragione, credo che la peculiarità di FYM di tutelare la scelta dei suoi assistiti sia a livello formale, garantendone la privacy, e sia attraverso la formazione dei suoi Coach (anche) ai principi etici, sia un valore aggiunto di una Scuola seria ed affidabile e con un’Identità di valore.