A quali domande deve rispondere la formazione?
Da tempo riflettiamo sulle domande a cui dovrebbe rispondere la formazione. Ce ne sarebbero tantissime. Forse troppe.
Molti, ad esempio, si pongono domande solo sul gradimento, del tipo “Ci piace questa formazione?” o “Sono bravi i formatori?“.
Altre organizzazioni, invece, si pongono domande solo sugli apprendimenti: “Cosa abbiamo imparato?” o “Cosa sapremo di nuovo?“.
Ma secondo noi il tema centrale della formazione è l’applicabilità e l’utilità pratica degli apprendimenti.
In parte l’abbiamo argomentata nell’articolo “La matrice del gradimento e dell’applicabilità“, ma in questo nuovo articolo voglio andare in profondità sulle due domande guida a cui ogni formazione, secondo noi, dovrebbe poter rispondere con chiarezza.
Per anni pensavo che le domande a cui la formazione dovesse dar risposta fossero tantissime. Successivamente ho iniziato a pensare che ci fosse una sola domanda a cui avrebbe dovuto rispondere. Ma con il tempo, con vari confronti e riflessioni (pur augurandoci di continuare a cambiare idea) ad oggi siamo arrivati all’idea che probabilmente sono due le domande centrali della formazione.
1 – Cosa faremo di diverso grazie a questa formazione?
La prima domanda deve rispondere al tema del cambiamento che genererà (o che dovrebbe generare) la formazione. Sappiamo che l’apprendimento non sempre genera cambiamento, specie se l’apprendimento è fine a sé stesso e non viene sviluppato anche nella sua dimensione applicativa. E proprio per evitare questa trappola del “sapere senza fare“, la formazione deve rispondere in modo chiaro alla domanda su quali saranno le azioni nuove e i comportamenti diversi che la formazione in oggetto dovrebbe stimolare, generare, installare, supportare e/o allenare. Ovviamente, ma non è argomento di questo articolo, l’efficacia della formazione dovrebbe essere poi valutata anche grazie all’osservazione di questi cambiamenti comportamentali (che corrispondono agli “impatti” della formazione – Kirkpatrick, 1969). Quindi, ad esempio, se un’organizzazione propone un corso sulla Leadership, deve poter rispondere alla domanda “Cosa dovranno FARE di diverso i partecipanti dopo questa formazione?“.
2 – Quali sono (tutti) gli effetti di questi cambiamenti?
La seconda domanda, centrale secondo noi, deve dare una risposta difficilissima: dovrebbe valutare gli effetti dei cambiamenti e dei nuovi comportamenti. Sappiamo che è difficile, se non impossibile, fare previsioni precise. Ma sarebbe sciocco non chiedersi quali sono gli effetti, anche collaterali, di alcuni cambiamenti comportamentali. Questa seconda domanda è ovviamente legata all’efficacia della formazione sugli impatti comportamentali. Per questo motivo, ad esempio, molte formazioni disfunzionali e inefficaci non hanno conseguenze negative sull’organizzazione: per fortuna molti comportamenti e molti cambiamenti non vengono agiti (e ribadisco “per fortuna”!). Un esempio pratico? In molta formazione il cambiamento collaterale indesiderato (grazie anche ai meta-messaggi che vengono inviati durante la formazione stessa) potrebbe essere il “sentirsi migliori di chi non partecipa alla formazione“. Grande trappola, insidiosa e spesso “invisibile”. Ma per fortuna, molti formatori, con la loro personale antipatia, pur veicolando questo pericoloso meta-messaggio, non generano impatti sul comportamento e sull’atteggiamento dei partecipanti: così, grazie alla maturità dei partecipanti e all’antipatia del formatore, si evitano disastri ben peggiori. L’unico rischio è stato perdere tempo e denaro in quella formazione.
Ma non sempre è così.
A volte è un bene (in quanto si ottengono gli effetti desiderati e desiderabili) e a volte è un male (in quanto si generano effetti collaterali non calcolati).
Per questo motivo bisogna essere abili a valutare, capire e prevedere con la massima precisione possibile, quali sarebbero gli effetti dei cambiamenti agiti a seguito della formazione. E sottolineo che nella domanda abbiamo volutamente inserito la valutazione di TUTTI gli effetti possibili.
Ma facciamo un esempio pratico.
Tre settimane fa ero da un nuovo potenziale cliente aziendale con cui avremmo dovuto incontrarci prima della pandemia, a marzo 2020. Abbiamo deciso di incontrarci, sapendo che il titolare è un appassionato di formazione. Dopo la conoscenza iniziale il cliente ha iniziato a raccontarmi di aver fatto un lungo percorso sulla leadership offerto da un partner tecnico. Proprio mentre me ne parlava, condividendo l’entusiasmo sul percorso (anche se bilanciato dalla stanchezza per le infinite ore di fronte a zoom), si è presentato alla porta un suo collaboratore diretto con una richiesta e un bisogno (e a giudicare dal linguaggio del corpo era anche abbastanza urgente). E cosa ha fatto il responsabile, da perfetto “leader”? Nonostante io avessi salutato il suo collaboratore, invitandolo ad avanzare le sue richieste, il responsabile lo ha liquidato con un distonico “Dopo, dopo, non vedi che ora ho da fare?!?“. Una risposta ed un comportamento che secondo me non hanno nulla a che vedere con l’idea stessa di “leadership”. Ho provato ad insistere per alcuni secondi, ma nulla da fare. Anzi, il responsabile se ne è anche uscito con uno squalificante “Devono imparare a comportarsi e anche grazie al corso ho capito che è compito mio indirizzarli verso i giusti comportamenti”. Mi chiedo quali saranno gli effetti di questi comportamenti e atteggiamenti, specie nel medio-lungo periodo.
Non so se questo comportamento fosse legato a quanto “appreso” nel corso: mi auguro di no (anche se dalle sue parole sembrava ci fosse qualche connessione).
Ecco che porci le due domande sulla formazione, e avere l’onestà intellettuale di rispondere con tutte le possibilità e valutarne non solo le opportunità e i vantaggi, ma anche gli eventuali rischi e criticità, permetterebbe di ridurre gli sprechi di tempo e di denaro in formazioni inefficaci e poco eleganti.
Buona formazione!
Piercarlo
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