Quando possiamo parlare di cultura del feedback?”
Si parla sempre di più di feedback, soprattutto in ambito organizzativo.
Sempre più aziende prevedono momenti di feedback, solitamente una volta l’anno.
Alcune hanno introdotto il concetto di frequent feedback, che prevede 3-4 momenti all’anno di feedback.
Altre hanno “informatizzato” il feedback, usando strumenti digitali: entri nel tuo profilo aziendale e leggi i feedback che l’organizzazione ha per te. Oppure puoi darne.
Ma nella maggior parte delle organizzazioni con le quali abbiamo lavorato, abbiamo percepito tre grossi limiti.
Il primo limite che incontriamo frequentemente è che nella maggior parte dei casi il feedback è utilizzato in una o massimo due direzioni: top-down, quindi i manager che danno feedback ai collaboratori coordinati, ed esterno-interno da parte dei clienti.
Il secondo limite è che i momenti di feedback sono limitati a poche volte l’anno e spesso sono formali e strutturati in modo rigido.
Il terzo limite è rappresentato dal focus solo sul “dare” feedback. La maggior parte delle organizzazioni che erogano formazione sul feedback si concentrano solo sul corretto modo di “dare” un feedback, dimenticando l’importanza del chiedere e del saper ricevere.
Questi “limiti” evidenziano, secondo noi, che il feedback viene spesso usato come strumento e raramente viene inserito, elaborato e alimentato come elemento di cultura aziendale.
Ma quali sono le differenze?
Uno strumento viene usato per lo svolgimento di un’attività.
Uno strumento puoi usarlo. Ma puoi anche non usarlo. E mentre l’uso puoi anche non usarlo correttamente.
Un elemento di cultura, invece, diventa parte del nostro modo di essere e di agire. Diventa un elemento d’identità, che ci caratterizza e ci differenzia.
Ricordiamo di B. F. Skinner che sosteneva: “Cultura è ciò che resta nella memoria quando si è dimenticato tutto.”
Un cestino per buttare le carte è uno strumento. Ma la cultura del non buttar nulla per terra e di differenziare i rifiuti caratterizza il nostro comportamento e il nostro essere. Motivo per cui molti di voi, come me, tornano la sera a casa con molte cartacce nelle tasche: se non troviamo un cestino (strumento) mettiamo in atto comunque la nostra cultura del rispetto dell’ambiente e ci riempiamo le tasche di carte che butteremo successivamente.
Allo stesso modo, secondo noi, il feedback non deve limitarsi ad essere utilizzato come semplice un strumento, ma dovrebbe diventare un elemento di cultura.
E parliamo di cultura individuale del feedback e di cultura organizzativa del feedback, laddove, in una logica di influenza reciproca e circolare l’una alimenta e influenza l’altra in un circolo virtuoso che alimenta il libero e rispettoso scambio di informazioni “nutrienti”, internamente ed esternamente.
Ma perché nutrienti?
Non dimentichiamo che “to feed” in inglese vuol dire nutrire.
E questo è l’obiettivo di un feedback: nutrire il miglioramento, nutrire la crescita professionale e personale, nutrire lo sviluppo individuale ed organizzativo, nutrire l’evoluzione, l’innovazione e il progresso.
Tornando ai tre grandi “limiti” sopra argomentati, possiamo parlare di “cultura del feedback” se ci sono almeno tre elementi:
1 – il feedback circola a 360 gradi, cioè in tutte le direzioni, e non solo dall’alto verso il basso. Circola anche dall’esterno all’interno, dal basso all’alto, internamente in mo orizzontale…
2 – i momenti di feedback sono anche informali, destrutturati e non, e soprattutto frequenti. Non sono quindi “ingabbiati” in procedure e processi rigidi, spersonalizzati e automatizzati.
3 – il feedback è anche cercato, quindi richiesto, e soprattutto ricevuto nel corretto modo, oltre che dato con efficacia ed eleganza.
Buona cultura del feedback!
Piercarlo
Per approfondimenti:
1 – Partecipa al QUIZ interattivo sul feedback
2 – Leggi il nostro LIBRO “La cultura del feedback“
3 – Scopri il VIDEO-CORSO “La cultura del feedback”
4 – Scopri il CORSO “La cultura del feedback”
5 – Organizza un corso personalizzato nella tua azienda
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