Perché quando qualcuno parla di “vero coaching” noi sorridiamo
Lo ammetto: il titolo è volutamente provocatorio, perché noi non crediamo nell’idea di “vero coaching”.
Anzi, ogni volta che leggiamo post o articoli di coach, o peggio ancora di insegnanti di coaching (ahimè sì), in cui si parla di “vero coaching”, noi sorridiamo.
Cosa si intende per “vero coaching”?
Leggendo e navigando sul web ho trovato molte risposte.
Alcuni pensano che il “vero coaching” sia solo quello che svolgono loro. Qui non c’è un orientamento o una scuola specifica, ma una tendenza individuale all’arroganza e all’autocelebrazione. Un po’ alla Marchese del Grillo: “Io so’ io e voi nun …”
Ma poi, per fortuna, ci sono anche altri tipi di “vero coaching”.
Molti, ad esempio, pensano che il vero coaching sia solo il modello GROW di John Withmore.
Su questo ci sarebbe molto da dire, ma in questo articolo mi limiterò a dire solamente due cose:
1 – molti parlano dei “padri fondatori” del coaching identificandoli in Tim Gallwey e John Withmore, ma poi al contempo fanno riferimento anche alla maieutica socratica e a tanti altri modelli che precedono la nascita di quello che viene considerato il coaching moderno. Anzi, si parla proprio di coaching moderno proprio perché l’idea di coach (quindi di una figura che supporta e facilita gli altri nello sblocco e nello sviluppo autonomo delle proprie performance) è antichissima. Forse di moderno, per non dire di moda, c’è il termine inglese, ma l’idea di coaching si perde nella notte dei tempi, a partire dalla maieutica socratica (a cui molte scuole fanno giustamente riferimento).
2 – se anche fosse vero che il “primo coaching” sia quello modellizzato da Gallwey e Withmore, dire che gli altri modelli sono falsi, specie senza conoscerli, diventa un purismo forse un po’ esagerato. Sarebbe come dire che la vera filosofia è solo quella di Talete (che è considerato il primo filosofo del pensiero occidentale) e basta. Mi sembra poco corretto da un punto di vista logico, in quanto si eliminano a priori le evoluzioni, le ricerche e anche le ricontestualizzazioni e gli adattamenti culturali di una disciplina.
“Voi conoscerete la verità, e la verità vi renderà folli.”
Aldous Huxley
Ma c’è anche dell’altro.
C’è anche chi si è spinto fino a dire “se non funziona non è vero coaching“.
In questi casi, secondo me, si (s)cade nel delirio.
Non funzionano sempre neanche discipline scientifiche come la medicina, o almeno non sempre e non su tutto. Quindi come si pretende di definire il “vero coaching” come “sempre funzionante”? In questi casi ci troviamo di fronte a coach che si autoproclamano “sempre efficaci”. E auto-definirsi sempre efficaci in un’attività che vive di relazioni, sottesa quindi da molteplici dinamiche complesse tipiche dell’essere umano, potrebbe sembrare coraggioso, ma secondo me è presuntuoso e quasi delirante.
Ma quei coach che sostengono questa tesi hanno mai avuto un drop-out? Hanno mai fatto un invio professionale ad altro professionista? Hanno mai avuto un caso di insuccesso? Perché io ne ho molti di casi di insuccesso e non mi vergogno ad ammetterlo… anzi. Nella mia professione io conosco le mie personali percentuali di successo, di successo parziale, di insuccesso, di invio e di drop-out. Così come i corsisti della nostra Scuola mi hanno visto sbagliare in alcuni casi e in alcune sessioni.
A questi coach del “vero coaching” chiederei di poter assistere ad almeno una decina di “casi veri” da loro condotti, in modo da poter vedere il loro “vero coaching” in azione. Ma poi quando glieli chiedi si nascondo dientro l’etica, la riservatezza e bla bla bla…
E poi formano altri “veri coach” senza mai mostrare il loro “vero coaching”: mai applicato a casi reali (ma solo in simulazioni), mai su casi interi (sempre e solo simulazioni di prime sessioni) e peggio ancora mai con persone esterne alla scuola, quindi con clienti veri.
A questo punto resta la domanda “cos’è il vero coaching?”.
Ma siamo sicuri che i concetti di “verità” e di “vero” possano essere accostati al Coaching?
Il Coaching non è una religione.
Né una disciplina “scientifica”.
Io la annovero tra le discipline umanistiche, tant’è che tra i vari modelli esiste proprio il coaching umanistico.
Come si fa ed ergersi giudici di tutti i modelli di coaching, e definire quali tra questi sia “vero” e “falso”?
Che senso ha etichettare gli altri come portatori del “falso coaching”? Tra l’altro il coaching, a dire di molti, si caratterizza proprio per la sospensione del giudizio. E questa sospensione è valida solo nei confronti dei clienti? Io per onestà intellettuale preferisco ammettere che non posso sottrarmi dal mio giudicare e valutare (come sto facendo ora), sapendo di non avere la verità. Dopo aver studiato 5 approcci diversi al Coaching, posso dire di preferire il modello Strategico e che ho scelto dopo molti anni di studio e pratica. Ma non ho la verità, né definisco il mio come un “vero coaching”. È il modello di coaching che ho scelto e che trovo più performante.
“La ricerca della verità è più preziosa del suo possesso.”
Albert Einstein
Così preferisco portare avanti la mia attività e la mia ricerca nel mio/nostro “falso coaching strategico“, continuando a lavorare incessantemente su centinaia di casi reali, sempre aperto ai feedback dei miei colleghi e dei corsisti della nostra Scuola Coaching… inchinandomi di fronte a coloro che hanno il “vero coaching che funziona (sempre)“. Beati loro.
Piercarlo
Complimenti, ottimo articolo di marketing.
Buongiorno, apprezzo molto la sincerità mostrata in questo articolo sia ha così rispetto di sé come professionista e di chi vorrebbe, come me, avviare questo studio e questa professione.
Grazie