L’apprendimento è un tesoro che seguirà il suo proprietario ovunque.
Proverbio cinese
Sono appassionato di formazione dal 1995, anno in cui partecipai al mio primo corso di formazione: un seminario sulle tecniche di memoria. Mi piacque così tanto che mi appassionai fino a dire “Da grande farò il formatore“.
Un certo tipo di formazione, quella cosiddetta “motivazionale”, mi piaceva e anche tanto.
Oggi però, pur essendomi piaciuti, molti corsi non li rifrequenterei e non per il fatto di averli già frequentati, ma per le modalità di erogazione e per i contenuti che, a mio avviso, lasciano pochi apprendimenti.
Mi riferisco a tutta quella formazione che non risponde pienamente alla domanda “cosa, quanto e come imparo?“.
E proprio da questa esperienza condivisa nasce la domanda “La formazione deve piacere o deve servire?“.
Per prima cosa dobbiamo porre attenzione alla pericolosa logica di “separazione” che è presupposta nella domanda: chi ha detto che l’utilità debba escludere per forza il gradimento?
A questo punto la risposta più logica, più immediata e anche più piacevole è “la formazione deve piacere e deve servire”.
Ma è anche vero che tutti noi (o quasi), abbiamo sperimentato la poca piacevolezza di alcuni momenti di crescita e di apprendimento. Quindi non sempre tutto l’apprendere è piacevole. Anzi, a volte, soprattutto nella formazione ESPERIENZIALE, il “fare” può portare la persona a provare del disagio, fisico, mentale, emotivo, relazionale, etc…
Così come molti di noi hanno sperimentato sulla propria pelle (e direi anche nei propri portafogli e nelle proprie agende!) quella formazione che piace, che motiva, che dona piacevoli sensazioni e bei momenti, ma che insegna ben poco. A parte il piacevole ricordo, non resta molto; e questa sensazione spesso rovina anche il bel ricordo.
Da professionista, mi sento di dire che la formazione deve prima SERVIRE e poi PIACERE: bisogna condividere contenuti, esperienze e teorie (poche) che siano EFFICACI ed EFFICIENTI, nel modo più gradevole possibile per chi apprende.
Qualora lo sviluppo efficace di alcuni temi dovesse prevedere momenti poco piacevoli (come ad esempio la “caccia ai feedback“, la leadership, la disinibizione, etc…), è dovere della formazione fare le giuste premesse, e cercare comunque di dare quanti più strumenti possibili per poter gestire il disagio dovuto alla fase di apprendimento garantendo un ambiente sicuro e protetto.
In questi casi il disagio può diventare anche uno strumento per misurare il livello di apprendimento: se il fastidio si riduce, o cessa, o mi gestisco meglio anche in sua presenza, il percorso sta dimostrando la propria efficacia.
Stando attenti a non (s)cadere nel mito dei “machi” che devono uccidersi in allenamento per non morire in combattimento, in questi casi il messaggio della formazione è chiaro: DEVE PRIMA SERVIRMI, e poi essere gradevole.
Prima l’APPRENDIMENTO e poi, laddove possibile e il più possibile, il GRADIMENTO.
Allora l’obiettivo di un formatore altamente professionale non è “gasare” i clienti, alzare l’energia, far scatenare i partecipanti, per poi magari provare a fare un’altra vendita nei momenti di picco emotivo (che trovo poco corretto), ma chiedersi continuamente COSA DOVREBBERO IMPARARE I PROPRI CLIENTI.
Per questo motivo abbiamo scelto di FARE formazione esperienziale: perché l’ESPERIENZA SERVE e INSEGNA molto.
Serve a sperimentare e sperimentarsi, serve ad osservare se stessi, serve a capire meglio gli altri e le varie situazioni, serve a testare alcuni strumenti e alcune tecniche, e serve a praticare. E nella sua massima espressione, serve a sviluppare nuove abitudini funzionali.
Ad ogni modo, nella formazione è un PIACERE SERVIRE, e SERVE far PIACERE!
Buona formAZIONE, buona praticità e buon piacere!
Piercarlo