Le tecniche di Coaching da sole non hanno alcun valore!
Abbiamo già detto che nel Coaching, secondo noi e secondo il modello che seguiamo (il modello strategico del Prof. Nardone), sono importanti una serie di elementi, tra cui i protocolli d’intervento e le tecniche.
I protocolli di Coaching sono sequenze logiche rigorose che guidano il processo garantendo una grande flessibilità operativa; mentre le tecniche di Coaching sono gli strumenti che si “innestano” nel processo logico (quindi nel protocollo) in base alla situazione, all’eventuale resistenza al cambiamento o in relazione agli obiettivi.
Ma le tecniche in sé e da sole, seppur efficaci, non bastano!
Cosa intendiamo?
In particolare ci riferiamo a due aspetti importanti:
1 – la tecnica deve inserirsi in una sequenza logica che la renda valida in quello specifico momento, con quello specifico caso e con quel cliente in particolare;
2 – la tecnica è composta da tanti fattori che la rendono efficace o inefficace, e per questo deve essere conosciuta a fondo e praticata fino alla maestria. Non basta leggerla in qualche libro o in qualche scheda.
1 – la tecnica deve inserirsi in una sequenza logica, o protocollo
Il primo aspetto è abbastanza ovvio: non basta avere una buona cassetta degli attrezzi per risolvere qualsiasi problema. Bisogna anche saper analizzare la situazione, verificare quale strumento prendere dalla cassetta e poi decidere di conseguenza.
Qualche esempio?
In passato mi sono innamorato di qualche tecnica e la utilizzavo anche quando non serviva, non rendendomene conto. Questo rendeva inefficace o, nel migliore dei casi, inefficiente i miei interventi di coaching. Appena conobbi il modello strategico, ad esempio, assegnavo ad ogni coachee la tecnica del “come peggiorare“, anche quando, non solo non serviva, ma era proprio sconsigliabile.
2 – la tecnica deve essere padroneggiata con maestria
Il secondo aspetto, invece, è quello più trascurato. Sono tantissimi i fattori che rendono efficace o inefficace una tecnica. Non basta avere un buon bisturi: serve sviluppare anche, e soprattutto, una buona “mano chirurgica”. Pur sapendo che i migliori ovviamente cercano anche i migliori strumenti tecnici, probabilmente il miglior chirurgo (rimanendo nell’analogia) è colui che al bisogno è capace di operare anche col peggior bisturi.
Quindi, un professionista cercherà sì i migliori strumenti, ma darà più importanza allo sviluppo della maestria nell’usare qualsiasi strumento. Altrimenti si diventa come i fan che dei propri idoli emulano gli acquisti e non gli allenamenti!
Qualunque sia la tecnica o lo strumento, dalla “lettera di rabbia” (>> scaricala qui gratuitamente>>) del modello strategico, alla “ruota della vita” di Anthony Robbins, è importante conoscerne i dettagli che permettono di usarla efficacemente.
Nella nostra Scuola Coaching dopo aver studiato le tecniche, chiediamo ore di esercitazione nel lanciarle e nel seguirle passo dopo passo.
Qualche esempio pratico?
La ormai famosa tecnica del “come peggiorare” da sola non basta e non è efficace. Oltre a dover scegliere il momento in cui è funzionale utilizzarla (e quindi inserirla in quel processo logico che noi chiamiamo protocollo di Coaching), bisogna anche saperla “lanciare” correttamente verbalmente e non verbalmente.
Bisogna usare molto bene il tono di voce, che deve essere suadente.
Bisogna lanciarla quasi come se fosse un “gioco” assurdo, specie se ci troviamo di fronte a manager che vengono da decenni di formazione sul pensiero positivo.
Bisogna anche saperla condurre in modo da amplificarne gli effetti, sia di ricerca che di intervento.
Dire “ora facciamo un bel come peggiorare“, ad esempio, non sempre è efficace e spesso genera resistenze.
Diverso, invece, è dire: “Bene. Ti va di fare un esercizio un po’ strano e controintuitivo? Proviamo insieme, come se fosse un gioco. Ora ti chiedo di prendere carta e penna e di dirmi, e poi di scrivere, tutto quello che… etc…” .
E in tutto questo “lanciare la tecnica”, bisogna sincronizzare l’offrire carta e penna con una gestualità direttiva ad un tono verbale molto morbido ed invitante. Bisogna scegliere bene le parole e la loro sequenza. Così come bisogna orientarsi verso il foglio per orientare il coachee all’esercizio.
Facile dire “Ah, ma io conosco quella tecnica“.
Anche i tifosi conoscono le tecniche di gioco, ma non sanno giocarle. Per poter dire “la conosco”, bisogna, secondo noi, saperla giocare e giocare bene!
Le tecniche di Coaching si possono usare in vari modi e in vari momenti
Infine, c’è un ultimo aspetto che spesso è trascurato fino ad essere completamente ignorato: una tecnica o uno strumento di Coaching si può applicare in più momenti e in diverse modalità.
Questa è uno degli aspetti che maggiormente colpisce i Coach che arrivano da altre scuole e che decidono di specializzarsi con noi o di approfondire le tecniche di coaching nella nostra Scuola: scoprono che le tecniche si possono applicare non solo durante le sessioni.
Ancora una volta, la tecnica non basta.
Bisogna anche sapere quando applicarla.
E noi individuiamo ben 3 possibilità di applicazione una tecnica di Coaching:
– in sessione, con il Coach che guida il cliente/coachee;
– tra le sessioni, con il Coach che spiega al cliente come e quando eseguire la tecnica (e quindi sarà oggetto di supervisione durante il percorso di Coaching);
– in autonomia nelle attività di self-coaching.
E nelle applicazioni del Coaching all’ambito Business e all’ambito sportivo, troviamo ulteriori momenti diversi nella seconda tipologia di applicazione tra le sessioni.
Nel business si posso praticare e/o applicare alcune tecniche “off the job” oppure “on the job“;
Mentre nello sport si possono usare “a riposo“, “in allenamento” o “in gara“.
Questa suddivisione, che può sembrare apparentemente semplice, è a nostro avviso molto importante perché influenza non solo la scelta degli strumenti da usare, ma anche il modo di assegnare e di usare le tecniche.
Penso che tutti i Coach sportivi siano d’accordo sul fatto che in gara bisogna usare poche tecniche, di sicura efficacia e solo al bisogno: una sorta di “pronto soccorso mentale ed emotivo” da usare solo in alcuni casi. Altrimenti la gran parte delle attività si svolgono a riposo e in allenamento, con l’obiettivo di ridurne il bisogno durante le gare.
Così come nel business, fare alcuni “esercizi” sul lavoro o fuori l’attività lavorativa è un elemento che influenza la scelta stessa delle attività da assegnare.
Mi auguro di aver dato un piccolo contributo al concetto che il Coaching non è un’insalata di tecniche, e che la tecnica da sola non basta.
Buone tecniche di Coaching!
Piercarlo