Anche l’associazione di coaching fa la differenza!
Ho cercato di resistere un bel po’ prima di scrivere questo articolo, ma guidato dalla mia passione per il coaching e dai valori ad esso sottesi non posso fare a meno di esprimere il mio pensiero liberamente e apertamente. Dopotutto il Coaching ci insegna questo: ad esprimerci liberamente e a manifestare il nostro potenziale in linea con i nostri valori.
E in questo articolo mi permetto di dare un consiglio non richiesto: so che non si dovrebbero dare, ma oggi lo faccio lo stesso e mi auguro che possa in qualche modo risultare utile ai molti che hanno difficoltà ad orientarsi nel mondo del coaching, delle varie scuole e delle varie associazioni di categoria.
Ho già parlato di quanto sia importante scegliere con cura la Scuola di Coaching presso cui formarsi, ma bisogna scegliere con altrettanta cura anche l’associazione di categoria cui iscriversi.
E questa scelta deve essere ponderata bene, sia dalle singole scuole di coaching che dai singoli coach professionisti.
Qualcuno ora potrebbe chiedermi: ma anche l’associazione è così importante?
Agli inizi, quando si è semplici studenti di coaching può sembrare del tutto indifferente. Ma se poi si vuole operare come professionisti o ci si vuole circondare di colleghi coach per avere un sano, costruttivo e rispettoso confronto, allora l’associazione che si sceglie diventa centrale e fondamentale.
Con le associazioni ho ed ho avuto, personalmente e professionalmente, molte esperienze: da molti anni faccio parte del direttivo di una delle più importanti associazioni nazionali (non di coaching), per anni sono stato consulente strategico di varie realtà associative e, ovviamente, faccio parte di associazioni di coaching e di formazione in qualità di professionista iscritto nei vari elenchi ai sensi della legge 4/2013.
Per anni, puntando solo ed esclusivamente sulla qualità della nostra Scuola, ho sottovalutato l’importanza dell’associazionismo, anche se ho sempre dato la mia disponibilità a collaborare, operare e lavorare fattivamente, credendo molto nel lavoro di squadra. A testimonianza di questa mia fede nel lavoro di squadra c’è FYM stessa: siamo un’azienda e non una “one man company”.
E purtroppo, mea culpa, devo ammettere che agli inizi mi sono mosso con molta superficialità nel mondo delle associazioni di coaching, non entrando fin da subito nei dettagli associativi che poi fanno la differenza, soprattutto nel tempo e per lo sviluppo professionale.
Ad esempio, e ribadisco “mea culpa”, siamo entrati nella nostra prima associazione solamente perché ci è stato proposto da qualcuno che conoscevamo. E per anni, doppio mea culpa, abbiamo trascurato molti fattori. Ad esempio, non abbiamo letto tutte le varie modifiche che venivano apportate ai regolamenti associativi. Così come non ci siamo mai informati sulle altre realtà associative.
Poi, però, alcuni nodi sono lentamente arrivati al pettine.
Un primo scontro all’interno della nostra prima associazione c’è stato quando, pur facendo io parte del consiglio direttivo, mi ritrovavo regolamenti approvati da consigli a cui non ero mai stato convocato. Per coerenza ho deciso così di dimettermi, senza ricevere alcuna risposta alla mia domanda sul perché non fossi mai stato convocato.
E nel frattempo iniziavo a notare una serie di variazioni che non rispettavano i valori di collegialità associativa, e che invece inviavano meta-messaggi del tipo “l’associazione è nostra e si fa come diciamo noi“.
Ho iniziato così ad andare a fondo nei documenti e nei regolamenti, per scoprire di appartenere ad un’associazione che addirittura vieta ai propri associati di iscriversi ad altre associazioni di coaching, laddove invece è diffusa l’abitudine di iscriversi a più associazioni nazionali e internazionali nella massima autonomia e libertà. E poi il vincolo della formazione obbligatoria con pochi margini di manovra, corsi di bassa qualità e usati quasi a “far cassa”. Per non parlare del tasto destro del mouse che sul sito dell’associazione non funziona… a proteggere i contenuti da chissà quale furto intellettuale. Eh vabbè…
Restavamo poi sorpresi del fatto che molti coach, anche se non appartenenti alla nostra associazione, sceglievano i nostri corsi per poi ottenere il riconoscimento dei crediti formativi dalle loro associazioni. Ed ottenevano i crediti senza problemi. Impensabile nell’associazione di cui facevamo parte, che spesso ci ostacolava anche nel riconoscimento dei nostri corsi ai suoi associati.
E allora qualche dubbio inizia a venirti… e inizi a guardarti intorno… perché intorno sembra tutto più facile, mentre in “casa tua” sembra tutto complesso.
All’inizio ti raccontano la “favoletta” della qualità e della serietà associativa… ma comunque continui a guardarti intorno…
Poi siamo arrivati alla goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma per cui siamo grati perché ci ha permesso di aprire definitivamente gli occhi sulle varie realtà associative italiane e internazionali e fare un cambiamento, rapido, repentino e in meglio.
Pensate che ad un certo punto ci è stato chiesto di modificare i nomi dei nostri corsi, di togliere le diciture “strategico”, di rinnegare la provenienza dal modello strategico del prof. Giorgio Nardone e di togliere dalla bibliografia i suoi testi (ne ha scritti oltre 30!). E quando abbiamo chiesto la motivazione, le risposte sono state due: uno, il modello strategico influenza le persone; due, Nardone è uno psicologo e il suo modello deriva dalla psicoterapia breve strategica.
Di fronte a queste risposte, date da chi si presenta come competente, mi sono messo a sorridere interiormente, decidendo così di cambiare senza dare spiegazioni. E aggiungo che con tutto il team abbiamo preso la nostra decisione strategica più rapida della nostra storia: 5 minuti di video-chiamata e tutti concordi.
Sul punto primo c’è veramente da sorridere: non è possibile non influenzare. L’illusione utopistica del coaching “neutrale” la lascio a chi ama credere alle favolette. Il Coach influenza e come, ma se onesto intellettualmente influenza solamente il processo di sviluppo della performance. Ma questo non lo dico io. Basta leggere “Pragmatica della comunicazione umana” o “Il linguaggio del cambiamento” di Paul Watzlawick (che dovrebbero essere nelle bibliografie di tutte le scuole coaching) per scoprire che anche dicendo semplicemente “buongiorno” a qualcuno, lo stiamo influenzando. Però mi rendo conto che ci possa essere chi ancora ama, più o meno ipocritamente, raccontarsi la favoletta del coaching neutrale.
Sul secondo punto, che il modello strategico non è coaching perché deriva dal modello di psicoterapia breve strategica, si potrebbe rispondere in moltissimi modi. Punto primo: quasi tutti i modelli di coaching derivano dalla psicologia o sono stati sviluppati da psicologi. Molti dei contenuti tecnico-didattici delle varie Scuole provengono dalla psicologia: la psicologia positiva di Seligman (psicologo), il modello di intelligenza emotiva divulgato da Goleman (psicologo), il modello di autoefficacia di Bandura (psicologo)… e mi fermo qui. E anche i due ideatori della PNL (che per noi non è coaching ed è una pseudoscienza), Bandler e Grinder, si sono ispirati a Milton Erickson, Virginia Satir e Fritz Pearls, eminenti psicologi, terapeuti e psichiatri. Richard Bandler stesso è psicologo.
Quindi mi sfuggiva l’ostilità verso il Prof. Nardone, che tra l’altro ha studiato direttamente a Palo Alto con Paul Watzlawick e che è considerato una delle massime autorità mondiali nella scienza del cambiamento e della performance. Ma di questo ne ho parlato nell’articolo su come mai il modello di coaching strategico fa paura. E tra l’altro il suo modello è 100% italiano (e pochi sanno che anche il suo maestro Paul Watzlawick ha studiato in Italia, alla Ca’ Foscari di Venezia).
Abbiamo così avuto, dopo 7 anni (e ripeto “mea culpa”) il coraggio di cambiare associazione dall’oggi al domani. E sorpresa siamo rimasti contentissimi: dall’accoglienza alla professionalità, dai regolamenti alle attività, dal rispetto delle procedure alla trasparenza comunicativa. Siamo così approdati in un’associazione che organizza club di pratica, che fa riunioni mensili (in cui ti convocano veramente) e che è governata dai coach e non dalle scuole di coaching (elemento di notevole importanza). Un’associazione dove abbiamo trovato massima apertura e disponibilità e dove, giustamente, si rispettano le regole.
Arrivo così ai due punti centrali di questo mio articolo.
1 – Se hai una scuola coaching o vuoi aprirla, scegli un’associazione che sia veramente tale, democratica, corretta, trasparente e che non consideri i soci come “portafogli da spremere” con l’obbligo formativo.
2 – Se vuoi diventare un coach, specie se professionista, oltre a sceglier bene la scuola, scegli bene anche l’associazione.
Ti faccio un esempio. Abbiamo già scritto che secondo noi non si diventa coach in una settimana, ma pochi sanno, che nelle principali associazioni di categoria non ci si può iscrivere se si proviene da quelle scuole di coaching che prevedono un unico corso full immersion di 6-7 giornate consecutive. E non lo dico io: lo scrivono le associazioni. Quindi, informatevi anche delle caratteristiche e delle attività delle varie associazioni. Le principali, ad esempio, hanno anche buoni rapporti tra loro, nel giusto spirito del coaching e del libero associazionismo.
Per questo, oggi, siamo orgogliosi di far parte di AICP!
Ed ora che siamo in un’associazione che non crea vincoli illogici e ostili, portiamo avanti anche il percorso di riconoscimento in ICF… ora che possiamo farlo!
Ce ne siamo forse accorti tardi… ma meglio aprire gli occhi tardi che continuare ad averli chiusi per sempre!
Buon coaching e buon associazionismo!
Piercarlo