Quando siamo di fronte ad un problema, scattiamo alla ricerca di buone soluzioni che ci consentano di sbrogliare la matassa: ragionevole, vero? Sì, ma solo per chi ignora i principi dei più avanzati modelli di problem solving.
Ripetiamo quindi la domanda: è utile andare alla ricerca di soluzioni quando siamo alle prese con un problema (nostro o altrui)?
Come al solito non esiste una risposta assoluta, vera per ogni occasione; provando però a generalizzare, scommetterei su un “no, meglio fare qualcos’altro prima”.
Solitamente, quando le cose non vanno, senza accorgercene diventiamo noi stessi parte del problema. Proprio così: con i nostri comportamenti (o non comportamenti) alimentiamo la situazione di difficoltà. Questo lo facciamo involontariamente, ovvio.
Nel modello di problem solving che sottende alle nostre attività di coaching e consulenza, parleremmo di “Tentate soluzioni”:
1. si agisce quando non si dovrebbe;
2. non si agisce quando si dovrebbe;
3. si agisce in modo inadeguato.
Se il problema persiste da un po’, è probabile che il nostro mindset, le nostre credenze, le nostre reazioni emotive, i nostri atti comunicativi e, in generale, i nostri (non) comportamenti abbiano contribuito a dare forma al problema.
Alla luce di queste premesse, si fa tutto più chiaro: cercare una soluzione con questa “dotazione di partenza” sarebbe come cucinare un piatto, seguendo sì la migliore fra le ricette, ma adoperando ingredienti scaduti.
Meglio rifornire la nostra cambusa di prodotti nuovi, prima di investire nuove energie, risorse ed aspettative nell’impresa.
E con i problemi degli altri?
Dando per scontato che in effetti ci sia stata una richiesta di supporto (diretta o dovuta al nostro ruolo), è fondamentale sapere che proporre soluzioni ci espone a due grandi rischi: il primo sta nel ritrovarci in posizione one-up, con tutto ciò che ne consegue dal punto di vista relazionale e comunicativo; il secondo riguarda la mancanza di informazioni e dati necessari per mettere a fuoco una soluzione efficace, perché se guardo solo alla soluzione e non dedico (molta) attenzione al problema, non avrò abbastanza elementi per muovermi con cognizione di causa.
Nel primo caso finiremmo per dare dell’imbecille al nostro interlocutore, nel secondo sarebbe alta la probabilità di suggerire soluzioni banali (“Vuoi risolvere quel conflitto con il tuo Collega? Cerca un confronto chiaro e sereno con lui!”, “Vuoi essere più produttivo? Organizza meglio il tuo tempo!”, la fiera dell’ovvio, insomma).
Personalmente, anche quando la tentazione di “andare in soluzione” è alta, mi fermo e mi impegno a seguire gli step chiari indicati dal protocollo di problem solving strategico (sviluppato dal prof. Giorgio Nardone), sempre alla base dei nostri modelli di coaching e consulenza.
“Partire dopo per arrivare prima.”
Stratagemma cinese
Se vuoi imparare ad utilizzare passo passo il nostro modello di problem solving, dacci due giorni del tuo tempo ed ottieni da subito risultati inaspettati: imparerai a condurre un’analisi funzionale del problema, ad individuare le tentate soluzioni (non) agite, le eccezioni positive, a definire correttamente un obiettivo e a strutturare un piano d’azione efficace ed efficiente.
Ti aspetto in aula!
Alberto
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