Attenzione alle parole e alle frasi “anti-cliente”!
Ieri, dopo un’intensa giornata di formazione d’aula, stanchi ed affamati siamo andati in un ristorante.
L’aspetto del locale e la gentilezza nell’accoglienza ci ha fatto un’ottima impressione.
Quando eravamo pronti per ordinare abbiamo tentato il classico “gioco di sguardi” per intercettare un cameriere.
Dopo un po’ ne abbiamo “intercettato” uno, il più giovane, che molto probabilmente era in prova. Alla nostra domanda “Possiamo ordinare?“, ci ha risposto “Io non posso prendere gli ordini“.
Sorridendo ho risposto semplicemente “Ok”, ma da formatore e da appassionato di comunicazione non potuto fare a meno di pensare alla risposta che mi è stata data.
Il ragazzo probabilmente era troppo giovane e inesperto per conoscere l’importanza della comunicazione con i clienti e capire i possibili effetti negativa della sua risposta.
Così come il titolare avrebbe potuto (o forse dovuto) istruirlo su come rispondere alle varie richieste dei clienti.
Condivido il fatto che in un’organizzazione non tutti debbano e possano fare tutto; ma un’organizzazione deve formare i propri collaboratori a rispondere e a gestire le situazioni in cui si confrontano con i propri limiti operativi e con i limiti delle proprie responsabilità.
Se un collaboratore non può fare una cosa, secondo noi il datore di lavoro deve formarlo su COSA DIRE, COSA FARE e COME FARLO quando si confronta con un’attività limite.
Ma torniamo alla risposta che ci è stata data: “io non posso prendere gli ordini“.
La risposta è ad evocazione negativa in quanto c’è una negazione e un’evidenza di limite. Inoltre non lascia risposta al cliente e non gli risolve il problema. Siamo di fronte ad una risposta problem oriented, che quindi restituisce al cliente un problema che il cliente da solo non può risolvere facilmente.
L’evocazione negativa e l’evidenza di limite, solitamente generano nel cliente una reazione del tipo “Scusa ma a me non dovrebbe interessare: il problema è tuo, non mio“. Noi abbiamo provato un po’ di tenerezza per la situazione, ma comunque la risposta ci ha fatto riflettere sulla forma scelta e ci ha lasciato un po’ interdetti.
Subito dopo la risposta il ragazzo è corso a cercare un cameriere che potesse prenderci l’ordine, quindi ha fatto un’azione di problem solving immediata: quella che noi definiamo come la fase ACTION ORIENTED del Problem Solving.
Ma quale sarebbe stata la risposta ideale?
Arriviamoci insieme unendo insieme le logiche del problem solving con le logiche della comunicazione strategica.
Per prima cosa quando un’organizzazione pone dei limiti operativi deve fare anche in modo che questi limiti non siano visibili ai clienti e che non pesino sulle loro richieste. Il limite operativo deve essere visibile solo internamente e deve essere gestito internamente. Soprattutto se la richiesta del cliente rientra tra quelle lecite e prevedibili.
Quindi la risposta non può e non deve comunicare il limite.
Poi, per i principi del problem solving, dopo una evidenza di problema da parte del cliente, che noi chiamiamo FASE PROBLEM ORIENTED, devono seguire ciclicamente le FASI SOLUTION ORIENTED ed ACTION ORIENTED. Quindi serve una risposta che fornisca una soluzione (solution) e deve seguire un’immediata azione in linea con la risposta data (action).
Inoltre, la comunicazione strategica ci suggerisce di essere proattivi, di comunicare ascolto attivo al cliente e di far percepire il servizio prima ancora di servirlo.
Ecco che una delle risposte più indicate poteva essere un semplicissimo “Vi mando subito chi prende gli ordini!“, unito ad un sorriso, ad un leggero passo indietro che comunica un inizio di ACTION per poi andare immediatamente da chi si occupa veramente degli ordini.
Analizziamo insieme questa possibile risposta.
Per prima cosa è da notare il “Vi“. Non “Le mando subito“, ma “Vi mando subito“. In questa maniera comunichiamo che siamo orientati a servire tutto il tavolo e non ci limitiamo a rispondere a chi ci pone la richiesta. La stessa risposta la daremmo anche se la domanda iniziale fosse stata “Posso ordinare?“, ma al tavolo ci sono due o più persone. Come nella comunicazione in pubblico: se la domanda arriva da uno solo dei clienti o degli spettatori, ma sono presenti più persone, la risposta la indirizziamo a tutti.
Poi consigliamo di usare la prima persona singolare: “IO vi mando”, e non “vi mandiamo”. Ti sei rivolto a me, o vi siete rivolti a me, e anche se non è di mia competenza diretta, comunque mi responsabilizzo in prima persona. Inoltre comunico proattività (ACTION) con un bel “subito”, unito all’inizio dell’azione e quindi al passo indietro (piccolissimo) e all’andare verso i camerieri che possono prendere ordinazioni.
Il massimo del servizio, unito al problem solving e alla comunicazione strategica, ci sarebbe stato se dopo l’ordine, anche facendo finta di non sapere se l’ordine fosse stato effettuato o meno, il ragazzo ci avesse chiesto “Tutto bene? Sono venuti a prendere l’ordine?“. Dopo la nostra risposta “Sì, grazie“, avrebbe potuto aggiungere un “Bene!“, che comunque evoca positività e mette un punto al problema evidenziato. Sarebbe come dire “problema risolto”.
Esagerando nei livelli di comunicazione strategica e di strategia commerciale avrebbe potuto anche chiudere con un “Bene. Desiderate altro?“. Badate bene, ho detto “desiderate”. Non consigliamo di usare la formula spesso usata “Posso aiutarvi in altro?“. L’aiuto presuppone una situazione di disagio e di bisogno. Il desiderio, invece, presuppone uno stato di benessere e quindi evoca piacevolezza.
In questo modo un banale ma pericoloso “non posso” può trasformarsi in un’occasione di fidelizzazione di un nuovo cliente, con tutto quello che ne sarebbe potuto conseguire: dall’ordinare qualcosa in più al lasciare un’eccellente recensione.
Ma lo ringraziamo comunque, se non altro per avermi ispirato questo post… e gli auguriamo di diventare uno dei migliori nella comunicazione e nel servizio ai clienti!
Buona Comunicazione Strategica!
Piercarlo
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